CALCIO
Un cognome ‘mondiale’ e un nome molto caro
In Johan Vonlanthen vivono sentimenti di affetto e riconoscenza: è entusiasta di collaborare con l’ACB
Pubblicato il 16.07.2023 14:39
di Enrico Lafranchi
Con lo Young Boys aveva debuttato a 16 anni, la fama se l’era guadagnata in rossocrociato con il gol ‘più giovane’ all’Europeo disputatosi in Portogallo. Un ‘evento’ che è ancora vivo nella testa di Johan Vonlanthen e che rimane tra i più bei ricordi tra quelli che ha vissuto in Olanda (PSV Eindhoven, Champions a 17 anni!), Italia (Brescia, De Biasi gli fece toccare ‘il cielo con tre dita’), Salisburgo (4 anni, due campionati vinti) e poi di nuovo in Svizzera (tra le più grandi Zurigo, Grasshopper, Servette). Johan oggi su quell’”eurogol” ci scherza sopra: “Mi dispiace per Rooney, che ne deteneva il primato, lui però ha fatto una carriera più grande della mia… Comunque è stato qualcosa di bellissimo!”.
La ‘grande occasione’ gliela aveva fatta cogliere Köbi Kuhn: “Un papà, mi chiamava sempre, voleva sapere tutto di me, mi ha dato una grande fiducia. Köbi ha avuto il coraggio di farmi giocare a 18 anni (di partite con la maglia rossocrociata ne ha disputate 40, ndr)”.
Apprendere per lui è stato facile, ‘inventare’ palle-gol pure… Grintoso e carismatico non sorprende che il giovane di origini colombiane (è arrivato in Svizzera all’età di 12 anni) abbia sfondato nel calcio così presto. Sulla sua carriera: “Sono contento di quello che ho fatto, il calcio mi ha dato tanto anche come persona”. A livello di club Brescia è stata sicuramente una tappa importante. Amatissimo dai compagni, Johan era diventato l’idolo dei tifosi nonché il beniamino di De Biasi (ma poi arrivò quel tale Cavasin…): “Con le “rondinelle” ci sarei rimasto volentieri, Brescia mi è piaciuta molto anche per la città e la sua gente. Ma ero in prestito, son dovuto tornare a Salisburgo…”.
Da lì eccolo riabbracciare il nostro calcio: “Con lo Zurigo allenato da Bernard Challendes è stato qualcosa di spettacolare, in Champions League abbiamo affrontato Milan, Real Madrid, Marsiglia. Eravamo un gruppo fantastico, a San Siro nel 2009 abbiamo battuto i rossoneri di Leonardo 1-0. Impressionante!”.
Con la nazionale ha giocato tra gli altri assieme a Wicky, Vogel, Alex Frei, Yakin, Streller, Cabanas, Magnin, Degen e tanti altri bei nomi, uno degli ultimi Johan Djourou. Nazionale in cui un po’ tutti ci si riconosceva di più, glielo diciamo apertamente… “Ma no, questa è la Svizzera di oggi, sono ragazzi che sono nati qua, ce l’hanno nel cuore. Anche mio figlio, Esteban, che gioca nella U14 del Winterthur, non vuole giocare per la Colombia. Quando gli ho detto che un giorno dovrà scegliere non ha esitato un attimo a rispondermi ‘al 100 per cento Svizzera’. È del tutto normale, i ragazzi crescono vedendo Xhaka, Shaqiri, Okafor. E si emozionano!”.
Il padre di Johan si chiama Roger, lo stesso nome del nazionale ai tempi di Antenen, Fatton, Hügi, Ballaman (mamma mia!). Chiaramente un caso di omonimia, ma qualcuno ai tempi non ci aveva creduto (…): “A Friburgo si chiamano tutti Vonlanthen (ride di gusto, che simpatico Johan, ndr), ce ne sono veramente tantissimi. È capitato molte volte che mi chiedessero se mio padre, Roger, fosse il Roger giocatore…”. È così che il destino (o la fatalità?) ha voluto che Johan si caricasse sulle spalle questo nome illustre. E lui ha indubbiamente fatto onore al suo cognome!
Oggi, trentasettenne, è rimasto sé stesso: un ragazzo sereno e umile che ha riscoperto il gusto di sorridere con il calcio grazie agli insegnamenti ricevuti.
Lo abbiamo incontrato durante un allenamento, normale ripercorrere con lui qualche attimo della sua bella carriera per poi chiedergli qual buon vento l’avesse portato, quel giorno, allo stadio Comunale:
“Sono in stretto contatto con Pablo per via di giocatori che potrebbero essere inseriti nella squadra. Io sono procuratore e responsabile della Scuola-calcio dello Zurigo (l’Academy, ndr). Sono molto contento di collaborare con Bentancur”.
Un lavoro pagante: 
“Vero. Se vuoi emergere deve funzionare tutto al top in una società. L’ACB è messa molto bene sotto tutti i punti di vista. Quest’anno abbiamo avuto l’esempio dello Stade Lausanne-Ouchy. Dove si lavora con grande impegno è tutto possibile. Anche in Challenge League!”.
È soprattutto una questione di mezzi? 
“Beh, occorre certamente disporre di un gruppo forte, sia a livello dirigenziale che tecnico. Ma ci vuole anche tanta passione e la giusta mentalità”. Servono anche tranquillità e pazienza:
“Certamente. In ChL tutte le partite le possiamo considerare delle finali. È sufficiente perderne qualcuna che finisci con il trovarti spiazzato in classifica. È successo all’Aarau: gli argoviesi sono sempre lì davanti ma non riescono a tirare fuori le castagne dal fuoco…”.
Conosci bene Chieffo: è l’uomo giusto al posto giusto?
“Sandro ha fatto molto bene a Lucerna, ha svolto un grande lavoro con i giovani. È una fortuna che il Bellinzona sia riuscito ad accaparrarselo. Parlo di una persona che ha anche grandi qualità dal lato umano. I giocatori se ne sono resi conto. Chieffo è un grande professionista”.
In squadra ci sono tanti giovani, troppi?
“Assolutamente no, anche perché i ragazzi hanno accanto elementi di esperienza: un mix di giocatori che forma un gruppo molto dinamico. È importante che anche i giovani stranieri ‘sentano’ la maglia e diano il cuore per la società”.