CALCIO
Esiste un DNA del tifoso?
La caratteristica del tifoso è la trasversalità, ma qualcuno vuol essere più uguale degli altri...
Pubblicato il 17.07.2023 07:26
di Silvano Pulga
C'è un tratto comune, tra tanti tifosi di tutti gli sport, e in tutti i paesi: ed è quello di essere convinti che la propria squadra del cuore sia anche portatrice di valori speciali, ovviamente positivi, che non appartengono invece ad altri. Una narrazione, ovviamente. Se è vero che esistono realtà sportive che difendono (o ci provano) l'identità locale, cercando di portare alla ribalta sportivi nati sul territorio, facendoli crescere e portandoli all'eccellenza, tutte fanno il loro onesto lavoro: partecipare cercando di vincere. Per farlo, servirà trovare gli elementi migliori a tutti i livelli, dentro e fuori dal campo. A loro si chiederà di giocare, e di farlo meglio degli altri. Qualcuno lo farà bene, altri meno, ci sarà chi userà qualche trucco: nel calcio si racconta di un giocatore che mise una fetta di limone sotto il pallone che l'avversario aveva piazzato sul dischetto del rigore, per far sì che la sfera volasse alta sopra la traversa, cosa che avvenne. Leggenda, si dirà: ma è un fatto che quel calciatore, che raccontò tra l'altro in prima persona l'episodio (non venne quindi riportato da altri, che avrebbero potuto magari avere l'interesse di screditarlo) fosse soprannominato Veleno da tifosi e avversari. Si gioca per vincere, insomma. E anche se potrebbe sembrare un'ovvietà (tanto che chi lo dice senza fronzoli è stato, a volte, criticato), per qualcuno, non è così.
Esiste, per alcuni tifosi, la suggestione secondo la quale la squadra del cuore non solo tenterà di vincere ma, per farlo, userà mezzi diversi dagli altri ed eticamente migliori. "La mia squadra non ingaggerà mai quell'elemento forte ma dagli atteggiamenti discutibili" per esempio. Oppure "Non vogliamo solo vincere, ma farlo attraverso il bel gioco. Arrivare davanti agli altri ma senza divertire il pubblico non è nel nostro DNA." Ecco, il DNA, parola abusatissima. Tutti, anche chi ha abbandonato gli studi in tenera età, sa che non esiste una predisposizione genetica a palpitare per dei colori anziché per altri. Eppure c'è gente convinta (speriamo non seriamente) che i proprio fratelli di tifo si distinguano dagli altri sotto questo aspetto. Ma la passione sportiva (non a caso chiamata col nome di una malattia) è bella proprio perché del tutto irrazionale, e in grado di far pronunciare ai propri sacerdoti e al "popolo" concetti al di là di ogni logica, di qualunque genere.
Poi, accade l'imprevisto, perché la realtà, spesso, rimette le cose in ordine. E così si scopre che l'atleta che, nei mesi passati, ha giurato eterno amore alla maglia, in realtà sta parlando sottobanco con i rivali di sempre, che aveva giurato di non servire mai. A far cambiare idea all'idolo delle folle, quello del quale si possiede la maglia originale, pagata una cifra spropositata rispetto ai costi per produrla, essendo stata cucita infatti per pochi franchi al giorno magari da un bambino dell'età dei figli, colpevole solo di essere nato in una parte del mondo diversa, l'elemento più oggettivo che esista: il denaro. Secondo la scienza, la genetica dovrebbe rendere immuni a queste tentazioni; il patto di sangue stretto tra i tifosi e il loro beniamino, che sembrava solido come quello tra Tex Willer e i suoi Navajos, si scioglie al contrario in nome di uno stipendio differente.
I tifosi "diversi" non ci stanno: c'è un'etica solida alla base di certe scelte, e appartiene a noi, solo a noi. Non si possono proferire parole d'amore per i sacri colori e, di nascosto, parlare e cercare un accordo con una squadra che, nella narrazione tifosa, rappresenta i valori opposti (narrazione naturalmente respinta al mittente dai fans di quest'ultima compagine, ça va sans dire). E allora, la notizia della telefonata del dirigente al fedifrago, ricordandogli i valori del club dove ha militato, aggiunta alla decisione di non volerne più sapere di lui, al di là della delusione, va però a sanare una ferita: i valori sono salvi. Solo noi, questo è il nostro DNA, mai con chi ha tradito. C'è chi immagina che dietro, al contrario, ci sia la pragmatica scelta della dirigenza di sfilarsi da un affare economicamente discutibile, trovando un alibi: tuttavia, essendo un'ipotesi contraria alla narrazione, non viene presa in considerazione dal popolo dei fedeli.
Ci sono altri esempi. Una società, in una legittima scelta programmatica, decide di non tenere in squadra un giovane promettente ma, per questo motivo, con un costo pesante per le casse societarie. Sarebbe un buon prospetto: ma i conti vanno salvaguardati. In un mondo sportivo dove, ormai, il tifoso deve essere anche un ragioniere (non pensavamo che il nostro curriculum scolastico, che ci vide studenti controvoglia di una scuola commerciale, un giorno ci sarebbe tornato utile per sostenere la nostra passione sportiva), si accetta anche questo. A patto, ovviamente, che sia coerente con i valori trainanti. Poi, all'improvviso, l'annuncio: la squadra del cuore ha deciso di sostituire il giovane di belle speranze con un giocatore esperto, avanti con l'età magari, ma che ha dimostrato negli anni grande classe. Niente male, si dirà. Peccato che, sempre quell'elemento, a causa di alcuni episodi controversi che lo videro protagonista, in incontri contro la squadra sostenuta dai tifosi "diversi", si sia guadagnato il non invidiabile titolo di simulatore e provocatore. Vero o falso che sia, due qualifiche che poco avrebbero a che fare con i valori assoluti dello sport, figuriamoci con quelli della squadra speciale. E ora, fatalmente, la narrazione è in grande crisi.
Morale della storia: esistono le favole, e poi c'è la realtà oggettiva. E quest'ultima dice che chi partecipa vuole arrivare davanti agli altri. E, per farlo, deve prendere gli elementi migliori e, ultimamente, anche dando un'occhiata al bilancio. Anche se, a volte, quell'essere più bravo degli altri passa anche dalla capacità di far saltare la mosca al naso all'avversario per deconcentrarlo o, magari, fargli subire un procedimento disciplinare: cose già viste tante volte. Che non piacciono a tanti. Ma, alla fine, sull'albo d'oro c'è il nome del vincitore. E, passate le generazioni, si perderà la memoria degli episodi, e rimarranno solo il titolo e l'anno nel quale fu ottenuto. Probabilmente c'era qualcuno che pensava di essere diverso, di sfuggire a questa regola che, forse, ha più a che fare col denaro che con lo sport: oggi, la realtà ha messo per l'ennesima volta le cose al proprio posto. Almeno sino a quando non verrà trovata una nuova narrazione: perché il bello del tifo è proprio la capacità di sapersele inventare. Anche se, questa volta, la vediamo più difficile ritornare a essere diversi dagli altri.