Motivi
personali e 40 milioni di euro l'anno in arrivo dall'Arabia. Mancini
ha salutato la Nazionale italiana con una lettera. Per “La Gazzetta
dello Sport” è una scelta cinica e senza scuse; per il “Corriere
dello Sport” si tratta del momento giusto. Il tecnico è un
personaggio divisivo. Vive di certezze granitiche circa il suo
operato. Il portamento è imperscrutabile, ma è divorato dalla
passione. È dominato dalla pulsione, gli riesce complicato fare
sedimentare le emozioni. Non pone nessuna alternativa: o con lui o
contro. C'è un filo conduttore che indirizza il suo operato: è
l'ego. È capace di stabilire un contatto simbiotico con i suoi
giocatori. Ma il tutto ha un flusso temporaneo. Il marchigiano non
attribuisce nessuna forza a parole come ciclo o progetto. Ribalta continuamente l'esistente: quando diventa preda del suo tormento. Sente di avere ragione perché gli altri
hanno torto. Chi lo mette sotto contratto dovrebbe saperlo:
l'allenatore è capace, predilige il bel gioco, ha coraggio, ma il
suo orizzonte temporale è solo il presente, l'oltre è da considerare aleatorio. Le sue dimissioni acclarano la profonda crisi del calcio
italiano. Gravina, il presidente della Figc, ne è l'emblema.
Si muove come un politico consumato: è un moderato e incline a
gestire, in maniera ordinaria, il giocattolo. Ogni anno il calcio
italiano perde 1,3 miliardi; le strutture sono carenti e gli stadi
obsoleti; i giovani calciatori sono sempre di meno; la Nazionale ha
mancato due Mondiali di fila. Il prodotto Serie A è scadente, le
offerte delle tv a pagamento sono al ribasso. Non ha intenzione di
avviare nessun progetto di riforma, non contempla la visione. Ha un
solo obiettivo: esserci. Un successo lo ha conseguito: è lui
l'artefice del patteggiamento italiano ed europeo della Juve. La
scelta del nuovo tecnico non è complicata, sulla piazza ci sono
Spalletti e Conte. E il Mancio potrà godersi il suo esilio dorato.
Calcio
Mancini chi?
Le dimissioni del tecnico e la profonda crisi del calcio italiano