Il ricordo di un campionissimo
Un Profeta senza tempo
L’olandese è stato una leggenda del calcio
Pubblicato il 25.03.2021 12:51
di Angelo Lungo
Sopra gli anni Settanta soffiò impetuoso il vento del cambiamento. I giovani decisero che la Legge del Padre era stantia e lisa. Volevano tutto e subito e a modo loro. Niente magari, ma “ora” era il tempo della rivoluzione. La libertà doveva essere esagerata.
Il calcio è un fenomeno sociale e anch’esso fu scosso con vigore. E dal Nord Europa proruppe il “calcio totale”. L’Ajax e la nazionale olandese ne furono gli interpreti originali, recitavano un canovaccio mai visto, cantavano un’aria mai ascoltata.
Tutto era movimento, sovrapposizione, interscambio. Squadra corta, pressing e fuorigioco. Giocatori duttili che andavano oltre il loro, prestabilito, ruolo.
E con sommo stravolgimento della storia del costume calcistico in voga: ritiro con mogli o compagne, grande autonomia individuale nella gestione del tempo libero e possibilità di sfoggiare una chioma fluente.
Quel football era esaltato da un immaginifico Profeta: Johan da Amsterdam noto come Cruijff, un giovane svelto e coraggioso. Il suo era uno stile lineare con uno scopo precipuo: evitare l’avversario. Era dotato di una tecnica eccelsa, subliminata da una straordinaria capacità di essere efficace. Proverbiale la sua finta di corpo per nascondere il pallone. I suoi movimenti parevano passi di danza su un palcoscenico enorme. Era poetico ma non di quel lirismo fine a se stesso, ma quello che emoziona. Era un artista del pallone, fantasioso all’inverosimile.
All’epoca i giocatori indossavano le magliette, rigorosamente, dall’1 all’11 e ogni numero corrispondeva a un preciso ruolo. Ebbene, l’olandese scelse il 14, quello che connotava un panchinaro.
Un genio non si ferma mai, il suo incedere nel tempo non ammette pause. Apposti gli scarpini al fatidico chiodo, intraprese la carriera dell’allenatore.
Un profeta abbisogna di essere seguito senza esitazione, anela di essere accolto, i seguaci devono sospendere il lume della ragione. Fu il Barcellona il club che si consegnò al suo verbo.
Sosteneva che era fondamentale dominare il pallone. Significava che l’avversario non ce l’aveva, non poteva attaccare ed era costretto ad adattarsi senza possibilità di scelta al suo credo: possesso della sfera e movimenti ben eseguiti. I suoi calciatori dovevano essere tecnici e intelligenti, in grado di compiere scelte pertinenti.
“Il calcio consiste fondamentalmente in due cose. La prima: quando hai la palla, devi essere capace di passarla correttamente. La seconda: quando te la passano, devi saperla controllare. Se non la puoi controllare, tantomeno la puoi passare”.
Il poeta scrisse: “Ai posteri l’ardua sentenza”, i posteri hanno sentenziato, e  non sono possibili ricorsi: Johan da Amsterdam rappresenta una leggenda del calcio. La sua storia è da raccontare, raccontare, raccontare.