Compie
80 anni. Era considerato il “Golden Boy” del calcio italiano.
Vinse due Coppe dei Campioni e il Pallone d'oro nel 1969. Aveva una
classe sopraffina, la sua fantasia era proverbiale, inventava
geometrie, era un meraviglioso centrocampista. Gianni Brera lo
soprannominò “l'abatino”, ne esaltava la sua eleganza, le sue
movenze coordinate e il suo fisico minuto. Indossava la maglia numero
10. I colori del suo club erano il rosso e il nero. Il suo
nome è Gianni Rivera. Rivera si è raccontato in una lunga
intervista concessa a “la Repubblica”. Sulla vecchiaia: “Ho
letto che l'uomo può vivere fino a 130 anni. Gli 80 anni mi toccano,
poi mi dico che Paul McCartney e Mick Jagger ancora cantano”.
Il gioco che predilige: “Niente costruzione dal basso, per
l'amor di Dio. Calcio d'attacco, provando sempre a mettere in
difficoltà l'avversario”. Il significato della maglia numero
10: “Il mio, l'unico. E l'ho portato sulla schiena da tempo. Se
sei Rivera, devi esserlo sempre e per sempre. Ma quando un bel giorno
ho visto che ormai il 10 lo danno anche ai portieri, ho pensato: è
finita”. La famosa staffetta con Mazzola: “Eravamo molto
diversi. In Nazionale avevamo sempre giocato insieme, poi Valcareggi
(l'allenatore degli azzurri) in Messico (Mondiali del 1970) subì
pressioni da Coverciano e dal direttore della Gazzetta. La staffetta
fu una stupidaggine. E io davo fastidio”. Chi era Pelé: “Il
migliore di tutti. Se il calcio non fosse già stato inventato, lo
avrebbe inventato lui. Era tutto, potente e sensibile”. Sul
calcio moderno: “Calcio d'inizio e il pallone subito dietro. Ma
si può? Così l'avversario è subito di fronte. Chi ha detto che il
regista deve farlo il difensore centrale? Una puttanata”. Sul
talento: “È qualcosa che arriva prima del cervello, qualcosa
che hai scritto dentro dalla nascita, un istinto che però non va
perso per strada. È fare un gesto senza accorgerti di farlo”.
Calcio
"Ho capito chi ero solo quando ho smesso"
Raffinato ed elegante, è stato uno dei migliori centrocampisti al mondo