CALCIO
Il Barcellona e quell'idea unica
Un documentario sulla Masìa spiega cosa c'è dietro la filosofia di un club decisamente particolare
Pubblicato il 22.08.2023 10:37
di L.S.
Un documentario (su Dazn), uno dei tanti, realizzati sulla mitica Masìa. Che altro non è, che l’Academy del calcio giovanile del Barcellona.
Il Guaje, ossia David Villa, che tanti ricorderanno, oltre che per i titoli con la maglia blaugrana, per essere diventato campione europeo e del mondo con la Spagna, torna con un microfono in mano nel club che lo ha consacrato ai livelli più alti.
Veste i panni dell’intervistatore e lo fa molto bene, con domande centrate e forte di quel rispetto che gli viene giustamente riservato.
La chiacchierata con Xavi, attuale tecnico del Barcellona, è affascinante. Amici che parlano in piena libertà, esprimendo concetti che arrivano dal cuore. E che insegnano qualcosa a tutti i noi.
“Qui ci sono ragazzi con talento 9 e altri con talento 8, ma nessuno con 10 o 3. Cosa vuol dire? Che qui sono tutti molto bravi, poi è qualcos’altro a fare la differenza”.
Ecco, il succo del discorso è tutto qui. Semplice ma dannatamente vero.
“Non ero certo il più forte”, dice Xavi: “Sono piccolo, non veloce, e tecnicamente ce n’erano di più forti. Ma mi sono inserito in uno schema che funzionava, ho messo al servizio del sistema le mie qualità e grazie alla perseveranza ci sono riuscito”.
I due amici osservano una foto gigante, nella sala trofei del Barcellona. Xavi, Iniesta e Messi: tre fenomeni.
“Leo lasciamolo da parte, perché il discorso sul talento con lui non funziona. È stato il più forte della storia, perciò non va preso in considerazione. Però guarda bene la foto, siamo tre piccolini, non arriviamo nemmeno a un metro e settanta, eppure quell’anno occupammo i primi tre posti del pallone d’oro. Io sono in quella foto per l'idea di calcio che c'è dietro, non per altri motivi”.
Merito ovviamente, anche della mentalità di un club che oltre a vincere “deve divertire, fare spettacolo e sapersi comportare sul campo. Dobbiamo essere un esempio. Ecco perché lavorare al Barcellona è qualcosa di molto complicato. Ecco perché qui formiamo giocatori ma soprattutto uomini”.
Crederci sempre e comunque, anche quando le cose sembrano non funzionare.
L’esempio più eclatante ce lo regala sempre Xavi, quando parla di un compagno di squadra.
“C’era un giocatore nel Barcellona B che tutti pensavamo che non sarebbe mai arrivato. Onestamente non aveva le qualità tecniche degli altri. Ma lui, una volta che entrò nello spogliatoio della prima squadra, disse che da lì non se ne sarebbe più andato. E così fu. Chi è quel giocatore? Puyol…”.
Già, uno che ha scritto discrete pagina della storia del calcio spagnolo, commentano i due, con una complicità e un’ironia che rendono l’intervista gradevolissima.
Chiude Xavi con una confessione all’ex compagno.
“Tu avresti potuto diventare il più grande attaccante della storia del calcio spagnolo, peccato che sei arrivato al Barcellona tardi, ma avevi delle qualità pazzesche”.
El Guaje annuisce. E poi sorride, quasi emozionato, e butta là l’ultima domanda. Ma fare l’allenatore è più difficile che fare il giocatore? Xavi non esita.
“Quando eravamo giocatori e le cose non andavano bene, le responsabilità e le colpe venivano condivise. Qui no, è tutto sulle spalle dell’allenatore. È il Barcellona di Xavi che gioca male, perde o non diverte. È una pressione molto forte, ma amo questo club e sono pronto a gestirla”.
Già, perché come dice lui, la mente, alla fine, è quella che fa la differenza.