Calcio
Chi ha paura del Var?
L'uso della tecnologia suscita discussioni e polemiche
Pubblicato il 02.09.2023 07:09
di Aristide Lorenzi
Troppo grave l'errore commesso durante Bologna-Juve. I vertici arbitrali italiani si sono sentiti sotto pressione e hanno deciso di rendere noto il colloquio intervenuto tra l'arbitro e la sala Var. Un dialogo degno, si fa per dire, di un film di Bunuel. Di Bello era sicuro in campo non era successo niente. “Un attimo. Buono. Fammi vedere un'altra prospettiva. Ok. Per me no”, queste le parole incredibili del duo Fourneau-Nasca davanti al monitor, bontà loro e che vista. L'introduzione della tecnologia doveva aiutare, lo scopo era quello di evitare errori clamorosi, dissipare sospetti, allontanare polemiche. Ma perché non funziona? Semplice gli arbitri non sono convinti del Var. Non lo sopportano. Lo considerano come un'intrusione. Essendo potenzialmente un giudice imparziale non vogliono legittimarlo. La classe arbitrale è chiusa. È tetragona rispetto alla trasparenza. È una casta autoreferenziale. Carriere, promozioni, giudizi tutto avviene tra colleghi ed ex colleghi. La solidarietà prima di tutto. Il fortino da difendere strenuamente. Gli arbitri non vogliono perdere il loro potere, vogliono essere i decisori finali, vogliono essere protagonisti. La tecnologia mina eccessivamente la loro discrezionalità. L'intervento del Var determina un giudizio negativo sull'operato del direttore di gara, gli vengono tolti dei punti. Di Bello non aveva dubbi, si era convinto di aver ragione, nessun contatto in area juventina, non era necessario il Var. Ecco di conseguenza il protocollo farraginoso e fumoso circa l'utilizzo della tecnologia. Regole cervellotiche che portano nel territorio dell'ambiguità. E se l'intervento fosse automatico? E se a decidere fosse la sala Var? E non l'arbitro in campo sottoposto alle pressioni di giocatori, allenatori e tifosi. Perché gli arbitri non diventano professionisti? Quindi sottoposti a un giudizio di organi indipendenti e autonomi.