Calcio
Svizzera, manca la concentrazione
L'ambiente rossocrociato avrebbe bisogno di serenità
Pubblicato il 10.09.2023 15:00
di Silvano Pulga
Alla fine, le dichiarazioni di Sherdan Shaqiri si sono rivelate improvvide: per esultare si deve prima segnare, come noto. E il giocatore dei Chicago Fire, con quel livello di prestazione, non lo avrebbe fatto neppure se la partita fosse durata sino a domenica mattina. Dopodiché, va detto che, a questo giro, non ci sono state reazioni troppo accorate alle sue parole: del resto, come noto, la Svizzera è terra d'integrazione, e non di assimilazione. E l'immigrazione, nella Confederazione, è sempre stata gestita con la strategia tipica di tutti i paesi dell'area germanica, vale a dire quella di considerare gli immigrati dall'estero come gastarbeiter: normale, quindi, che il giocatore, come tanti altri connazionali (e non solo), abbia mantenuto un forte legame con la propria patria d'origine, al netto delle problematiche belliche (anche recenti) che hanno attraversato il Kosovo, paese dove la Storia si sta ancora scrivendo, a differenza di ciò che pensavamo noi rispetto alle nostre latitudini, dove si viveva nella convinzione che la Medesima fosse invece finita, perlomeno per ciò che ci riguardava. Dopodiché, il ragionamento, con l'ovvio corollario della riconoscenza dovuta al Paese che gli ha permesso di affermarsi come calciatore professionista, ci porterebbe lontano: ma questa è un'altra questione, e noi oggi parleremo di calcio. Lo avevamo già detto dopo il pareggio con la Romania, giunto al termine di una partita dominata in lungo e in largo: c'è un problema di concentrazione. Al netto del fatto che siamo in un momento di cambio generazionale, i giocatori in campo ieri, titolari e sostituti, hanno offerto in passato, in maglia rossocrociata e con i propri club, prestazioni di ottimo livello. Bisogna anche ribadire che, nonostante una partita deludente, a pochi istanti dal termine il risultato sorrideva ancora alla Svizzera. Ecco, sotto questo aspetto è mancato quel cinismo che è indispensabile a questi livelli: anche nelle serate storte, contro avversari inferiori, se a 10' dal termine sei in vantaggio, il risultato va portato a casa. Senza se e senza ma. E se è vero che una volta può accadere, alla seconda bisogna iniziare a porsi delle domande. E darsi delle risposte, alla svelta. Perché le parole di Granit Xhaka, al netto della sua prestazione piuttosto deludente, non possono essere derubricate come semplice sfogo a caldo a fine partita, soprattutto se pensiamo agli esiti degli ultimi due incontri. Giustamente, nella mattinata di domenica, Pier Tami, uomo di calcio di grande esperienza, come ci ha riferito Max Solari sul Corriere del Ticino, ha cercato di metterci una pezza: ci sta, è logico e giusto. Il dirigente ha, come primo compito, quello di recuperare l'ambiente e, soprattutto, di ribadire le gerarchie all'interno dello spogliatoio. Tra l'altro, l'ex tecnico di GCZ e Lugano ha usato gli stessi argomenti del tifoso: dopo una prestazione sottotono, bisognerebbe fare autocritica, anziché prendersela col selezionatore. Le reazioni sui social, infatti, vanno quasi tutte in quella direzione. Ma al coordinatore delle selezioni, uomo di calcio non banale, non sarà senz'altro sfuggito l'atteggiamento mentale della squadra scesa in campo a Pristina. E lì, Murat Yakin, qualche responsabilità, ce l'ha. Si può senz'altro dire che lo sfogo del capitano sia stato sbagliato nei tempi e nei modi: siamo d'accordo. Però, la sensazione è che lo spogliatoio, in parte almeno, stia con il capitano. I meriti dell'allenatore, i risultati raggiunti sinora (perlomeno prima di questo appannamento delle ultime gare, fermo restando che la Svizzera è ancora pienamente padrona del proprio destino in questo girone di qualificazione) sono concreti. Tuttavia, la sensazione è che il tecnico ex Basilea non riesca, in questo momento, a far passare il proprio messaggio. L'unico giocatore sceso in campo ieri con la giusta concentrazione è stato Remo Freuler: ma più per una propria convinzione personale, derivata dall'essere tornato a giocare in Italia, in una realtà dove si è affermato, e che conosce benissimo. E la sua prestazione, in una stagione dove non aveva ancora giocato un minuto di partita vera, dimostra ancora una volta come la testa, nei giocatori di calcio ( e non solo) faccia la differenza. Peccato che Murat Yakin, difficilmente, potrebbe appuntarsi la prestazione del neo giocatore del Bologna come un successo personale. In definitiva, non è un bel momento. In settimana arriverà la partita contro Andorra a Sion: sulla carta, tre punti facili. Ma servirà una gara attenta, concentrazione e attenzione da parte di tutti. Pier Tami ha invitato tutti a non creare un caso Xhaka o Yakin: ci sta. Ma una prestazione sottotono o, peggio ancora, una non vittoria a Sion aprirebbero invece un caso Svizzera. Meglio non pensarci, e sperare che l'ambiente ritrovi la serenità auspicata.