CALCIO
Tra Nazionale, scommesse e ... TV
È un altro momento delicato per il calcio italiano: vediamo cosa sta realmente succedendo
Pubblicato il 18.10.2023 09:29
di Silvano Pulga
Scriviamo dopo la scoppola rimediata dall'Italia a Wembley: francamente, non avevamo capito per quale motivo la partita fosse stata trattata, dall'ambiente che ruta attorno agli Azzurri, come un'amichevole di lusso. I risultati dicono che la nazionale campione in carica rischia seriamente l'esclusione: qualcuno potrà snobbare la partita contro la Macedonia del Nord dell'ex Lugano "Gianni" Alioski ma, considerando come andò negli spareggi per l'accesso ai mondiali in Qatar, sarebbe meglio non farlo. Al netto della sfida con l'Ucraina, squadra sicuramente meno tecnica dei quella italiana, avanti di tre lunghezze e con una partita in più, ma con tante motivazioni anche extra sportive, senza ovviamente voler scomodare alcun tipo di dietrologia, ça va sans dire. Emerge, in ogni caso, che l'undici di Spalletti, a oggi, non è una nazionale di prima fascia, e davanti a squadre bene organizzate e con individualità di spessore, come lo è l'Inghilterra (nonostante una guida tecnica secondo noi rivedibile e qualche amnesia di troppo), è destinato a soccombere. Quindi, per poter almeno dignitosamente difendere il titolo conquistato, qualificandosi alla fase finale, ci vorranno concentrazione, nelle prossime due decisive partite contro le avversarie di cui sopra, il mese prossimo. 
Chiuso il capitolo nazionale, si vira sulla questione scommesse, legata a doppio filo al rinnovo dei contratti televisivi. Abbiamo scritto qualche giorno fa che i numeri sono in calo, nonostante il torneo si annunci sicuramente più avvincente dello scorso anno (a meno che Simone Inzaghi non trovi la quadra e allunghi decisamente con la sua Inter nelle prossime settimane, come fece Spalletti col Napoli l'autunno passato). Vicende come quelle raccontate in questi giorni, in grado di fare breccia nonostante un momento geopolitico gravissimo come quello che stiamo vivendo,  non fanno che allontanare pubblico dalla Serie A. Certo: i viziosi di calcio con i capelli grigi resistono. In fondo, c'erano nel 1980, nel 2006 e in tante altre occasioni quando si ebbe la sensazione che qualcuno avesse chiuso gli occhi per salvare il carrozzone. Sono i giovani (minoranza nella nostra società, come sappiamo: ma sono il futuro) che non c'erano e che, oggi, hanno qualche problema in più a capire. E, quando non capisci, in genere ti appassioni ad altro.
Ora va di moda il patteggiamento, tollerato o combattuto sui social sulla base del proprio tifo. Abbiamo già scritto nei giorni scorsi cosa ne pensiamo sulle scommesse, e sulla necessità di distinguere tra queste e la pratica, decisamente truffaldina, di truccare le partite. Però non possiamo far finta di non vedere che il confine, in certi casi, può diventare estremamente labile. C'è stato chi ha detto che è immorale che giovani così ricchi cerchino di guadagnare altro denaro con sistemi quanto meno opinabili, sotto l'aspetto morale. Chi ha scomodato, in modo forse anche pretestuoso, la ludopatia. Noi, che abbiamo i capelli brizzolati,  ci limitiamo a ricordare che, oltre confine, alcuni dicevano che politici benestanti non avrebbero mai rubato, perché non ne avevano bisogno. Di fatto, uno di loro, ricchissimo, venne condannato per frode fiscale, a dimostrazione che l'esempio non è proprio dei migliori. Noi diciamo, invece, che forse è venuto il momento di considerare i calciatori (e non solo) come persone responsabili, in grado quindi di avere contezza delle proprie azioni, e delle relative conseguenze. C'è un punto di equilibro tra l'essere draconiani e un buonismo che, ormai, fa rima con lassismo: bisogna trovarlo, e alla svelta. Nello sport e (ci allarghiamo) non solo.
Tornando al calcio e alla televisione, due sono i fronti che si contrappongono: quelli che vorrebbero vendere a canali esistenti e chi pensa che i tempi siano maturi per creare una propria piattaforma autonoma. Noi, lo diciamo da sempre, proponiamo la pay per view: perché, in fondo, allo stadio o in pista si è liberi di andare quando si ha tempo e per vedere le partite che c'interessano, e lo stesso dovrebbe valere anche per il salotto di casa. Pagare (tanto) per poter vedere partite delle quali non c'interessa nulla ci sembra privo di logica: e siamo in buona compagnia a sostenerlo. Il buon senso, però, come sappiamo, è sempre perdente quando si contrappone al profitto. Così, i dati degli abbonati ai canali a pagamento sono custoditi gelosamente, in un Paese che ha una grande tradizione sul tema, come ben sa chi ha voluto avventurarsi per ricostruire vicende ben più serie della Pedata. 
Alcuni bene informati sostengono che ai tempi migliori fossero sui quattro milioni circa: oggi, il solito De Laurentiis ha rivelato che sarebbero più o meno la metà. Per il resto, i conti si fanno alla svelta: ipotizzando una spesa di circa 250 euro l'anno, per arrivare alle entrate sognate dalla Serie A, ce ne vorrebbero poco meno di 5 milioni (abbonati unici, ovviamente). Poi c'è l'aspetto della pirateria, che qualche ingenuo pensava di aver messo in ginocchio (anche qua, però, nessuno si avventura a ipotizzare cifre). Se il presidente del Napoli avesse ragione, vorrebbe dire doverli raddoppiare: non facile, visto quanto sopra. La Pay per View? L'idea che noi amiamo è però osteggiata dai piccoli, che vedrebbero come il fumo negli occhi due milioni e mezzo di spettatori per il derby di Milano, contrapposti ai ventimila di Salernitana-Empoli. Restiamo però dell'idea che sia l'unica squadra percorribile: perché il tifoso spende più volentieri 20 franchi per assistere alle partite della squadra del cuore, che 25 per la possibilità di vederle tutte. Al netto che le grandi dovranno capire che il torneo esiste perché ci sono anche le realtà periferiche. Le quali, quindi, hanno diritto alla stessa fetta di torta. Che però sia difficile far passare questo discorso, è un dato di fatto. Del resto buon senso e affari, da sempre, non vanno d'accordo.