La
trattiva, in Italia, per i diritti tv alla fine si è conclusa: le
cose rimangono come stanno, con Sky e DAZN a dividersi la torta.
Tuttavia, l'emittente capitanata da Rupert Murdoch, a questo giro, ha
guadagnato qualche posizione: per 200 milioni a stagione, infatti,
potrà offrire ai propri abbonati un prodotto migliore. In soldoni,
la televisione satellitare, che potrà trasmettere sempre tre gare a
turno, si è aggiudicata i diritti sulla partita della domenica alle
18 (orario più interessante delle 12.30 per gli inserzionisti
pubblicitari). Ma non finisce qua: Sky, per 30 turni su 38, potrà
scegliere alla posizione numero 2 (oggi è la 3) la miglior partita
da trasmettere, fatti salvi ovviamente i 4 big match che, da
contratto, può prenotare a inizio stagione, prima dell'inizio del
torneo. DAZN mantiene il diritto a trasmettere, in streaming, tutte
le 10 partite. Tuttavia,
ciò che salta all'occhio sono due particolari, non di poco conto: le
cifre accettate dalla Lega di Serie A sono più basse rispetto al
contratto precedente (DAZN dovrà pagare 700 milioni a stagione), e
l'accordo sarà valido sino al 2029. A protestare, in maniera tra
l'altro plateale, il solito Aurelio De Laurentiis: O'
presidente ha
rubato il microfono, in conferenza stampa, all'amministratore
delegato della Lega Luigi De Siervo, per esprimere concetti
inequivocabili ("Per
il calcio italiano è una sconfitta: DAZN non è capace di
valorizzare il prodotto, e un accordo di 5 anni è una
stupidaggine").
Il massimo dirigente del Napoli, non è un mistero, sosteneva il
progetto del canale gestito in prima persona dalla Lega, convinto che
questa potesse essere la strada più giusta per ottenere ricavi
maggiori, e del quale abbiamo già scritto in passato. Va detto: il
presidente del Napoli è, prima di tutto, un imprenditore del mondo
dello spettacolo. E, forse, ha una mentalità differente da quella
dei suoi colleghi, i quali vengono invece da esperienze differenti.
Ma ciò che emerge, di prepotenza, è la palese distonia tra una
narrazione positiva, portata avanti da molti media della vicina
Penisola, che parlano di un torneo di qualità alta, e i fatti
oggettivi, che rivelano la volontà, da parte della maggioranza dei
club, di non esporsi a un rischio d'impresa troppo elevato,
accettando cifre al di sotto delle aspettative (addirittura inferiori
a quelle percepite sinora, e costringendo il primo partner a un
accordo svantaggioso con la concorrenza che ne sostiene il progetto),
oltretutto per un periodo medio (cinque anni, nell'industria dello
spettacolo, sono davvero tanti), svendendo questo prodotto il quale,
invece, secondo la vulgata, dovrebbe essere di elevato livello e,
oltretutto, con buoni margini di crescita nel futuro. I primi,
quindi, a non credere al prodotto che vogliono vendere, sono proprio
quelli che lo fanno. Lo ribadiamo: per poter davvero guadagnare cifre
importanti, un ipotetico canale televisivo interamente dedicato alla
Serie A dovrebbe mettere assieme, più o meno, cinque milioni di
abbonati unici. Oggi, i bene informati dicono siano meno della metà.
Ed evidentemente, il sistema ha già capito che, nel medio periodo, è
più facile che diminuiscano piuttosto che il contrario: a questo
punto, meglio che il rischio d'impresa sia a carico di qualcun altro.
Altra scelta poco lungimirante è stato il rifiuto dell'offerta
Mediaset: 60 milioni all'anno per trasmettere una partita in chiaro a
giornata. Probabilmente, questa cosa avrebbe fatto abbassare le
offerte delle televisioni a pagamento: ma si doveva valutare la
possibilità di offrire a chiunque una partita di campionato, un po'
come succede alle nostre latitudini, e come accade al supermercato,
quando si fanno le promozioni per lanciare qualcosa di nuovo.
Evidentemente, manca del tutto una strategia di valorizzazione del
prodotto a medio/lungo termine. Se è anche vero che i ricavi da
stadio stanno aumentando, lo è anche che questo vale per singole
realtà, e non per tutti. Forse bisognerebbe partire dalla Coppa
Italia, per riportare le grandi squadre in provincia, come accadeva
una volta, e come succede ancora in Svizzera. Non è un caso che lo
stadio del Manchester United si chiami The
Theatre of Dreams:
ma chi non sogna, non compra. E il calcio inglese si vende in tutto
il mondo, anche grazie anche alla leggenda della FA
Cup,
i cui primi turni vedono coinvolte realtà calcistiche di
ridottissimo cabotaggio. E un prodotto che non si vende, per forza di
cose, prima o poi viene ritirato dal mercato. E, a questo punto,
diventa difficile dare torto a O'
Presidente.
Calcio
Serie A, la partita infinita dei diritti televisivi è chiusa al ribasso
Manca una strategia capace di valorizzare il prodotto