Calcio
Serie A, la partita infinita dei diritti televisivi è chiusa al ribasso
Manca una strategia capace di valorizzare il prodotto
Pubblicato il 25.10.2023 07:22
di Silvano Pulga
La trattiva, in Italia, per i diritti tv alla fine si è conclusa: le cose rimangono come stanno, con Sky e DAZN a dividersi la torta. Tuttavia, l'emittente capitanata da Rupert Murdoch, a questo giro, ha guadagnato qualche posizione: per 200 milioni a stagione, infatti, potrà offrire ai propri abbonati un prodotto migliore. In soldoni, la televisione satellitare, che potrà trasmettere sempre tre gare a turno, si è aggiudicata i diritti sulla partita della domenica alle 18 (orario più interessante delle 12.30 per gli inserzionisti pubblicitari). Ma non finisce qua: Sky, per 30 turni su 38, potrà scegliere alla posizione numero 2 (oggi è la 3) la miglior partita da trasmettere, fatti salvi ovviamente i 4 big match che, da contratto, può prenotare a inizio stagione, prima dell'inizio del torneo. DAZN mantiene il diritto a trasmettere, in streaming, tutte le 10 partite. Tuttavia, ciò che salta all'occhio sono due particolari, non di poco conto: le cifre accettate dalla Lega di Serie A sono più basse rispetto al contratto precedente (DAZN dovrà pagare 700 milioni a stagione), e l'accordo sarà valido sino al 2029. A protestare, in maniera tra l'altro plateale, il solito Aurelio De Laurentiis: O' presidente ha rubato il microfono, in conferenza stampa, all'amministratore delegato della Lega Luigi De Siervo, per esprimere concetti inequivocabili ("Per il calcio italiano è una sconfitta: DAZN non è capace di valorizzare il prodotto, e un accordo di 5 anni è una stupidaggine"). Il massimo dirigente del Napoli, non è un mistero, sosteneva il progetto del canale gestito in prima persona dalla Lega, convinto che questa potesse essere la strada più giusta per ottenere ricavi maggiori, e del quale abbiamo già scritto in passato. Va detto: il presidente del Napoli è, prima di tutto, un imprenditore del mondo dello spettacolo. E, forse, ha una mentalità differente da quella dei suoi colleghi, i quali vengono invece da esperienze differenti. Ma ciò che emerge, di prepotenza, è la palese distonia tra una narrazione positiva, portata avanti da molti media della vicina Penisola, che parlano di un torneo di qualità alta, e i fatti oggettivi, che rivelano la volontà, da parte della maggioranza dei club, di non esporsi a un rischio d'impresa troppo elevato, accettando cifre al di sotto delle aspettative (addirittura inferiori a quelle percepite sinora, e costringendo il primo partner a un accordo svantaggioso con la concorrenza che ne sostiene il progetto), oltretutto per un periodo medio (cinque anni, nell'industria dello spettacolo, sono davvero tanti), svendendo questo prodotto il quale, invece, secondo la vulgata, dovrebbe essere di elevato livello e, oltretutto, con buoni margini di crescita nel futuro. I primi, quindi, a non credere al prodotto che vogliono vendere, sono proprio quelli che lo fanno. Lo ribadiamo: per poter davvero guadagnare cifre importanti, un ipotetico canale televisivo interamente dedicato alla Serie A dovrebbe mettere assieme, più o meno, cinque milioni di abbonati unici. Oggi, i bene informati dicono siano meno della metà. Ed evidentemente, il sistema ha già capito che, nel medio periodo, è più facile che diminuiscano piuttosto che il contrario: a questo punto, meglio che il rischio d'impresa sia a carico di qualcun altro. Altra scelta poco lungimirante è stato il rifiuto dell'offerta Mediaset: 60 milioni all'anno per trasmettere una partita in chiaro a giornata. Probabilmente, questa cosa avrebbe fatto abbassare le offerte delle televisioni a pagamento: ma si doveva valutare la possibilità di offrire a chiunque una partita di campionato, un po' come succede alle nostre latitudini, e come accade al supermercato, quando si fanno le promozioni per lanciare qualcosa di nuovo. Evidentemente, manca del tutto una strategia di valorizzazione del prodotto a medio/lungo termine. Se è anche vero che i ricavi da stadio stanno aumentando, lo è anche che questo vale per singole realtà, e non per tutti. Forse bisognerebbe partire dalla Coppa Italia, per riportare le grandi squadre in provincia, come accadeva una volta, e come succede ancora in Svizzera. Non è un caso che lo stadio del Manchester United si chiami The Theatre of Dreams: ma chi non sogna, non compra. E il calcio inglese si vende in tutto il mondo, anche grazie anche alla leggenda della FA Cup, i cui primi turni vedono coinvolte realtà calcistiche di ridottissimo cabotaggio. E un prodotto che non si vende, per forza di cose, prima o poi viene ritirato dal mercato. E, a questo punto, diventa difficile dare torto a O' Presidente.