Rugby
Il senso della sconfitta di Aaron Smith
Dove si parla di successo e fallimento, di perfezione e di imperfezioni
Pubblicato il 06.11.2023 06:14
di Aristide Lorenzi
La modernità ha due categorie dirimenti: il successo e il fallimento. Ma il fallimento non è concesso. È la cosa peggiore che possa succedere. Non è contemplato fallire, pena l'oblio e la colpa di non essere stati all'altezza dei parametri imposti dalla società. Si vuole dimenticare l'imperfezione dell'essere umano, la sua precarietà e in fondo la sua debolezza. Ma il successo è fugace, consente di salire sul palcoscenico per un istante. Il fallimento contribuisce a definirci, a mettere un limite all'ego, a sviluppare sensibilità e raffinatezza di sentimenti. Nel mondo dello sport è il risultato che determina la visione positiva o negativa di un percorso. Poco importante averci provato, aver tentato. Ma Aaron Smith, giocatore della nazionale neozelandese, una settimana dopo aver la finale della Coppa del Mondo, sta facendo ancora parlare di sé. La sua storia non è esemplare nella sfaccettatura moralistica del termine, è una grande testimonianza. Come noto gli All Blacks hanno perso la partita per un punto contro il Sudafrica. Terminato l'epico incontro, la reazione dei neozelandesi ha stupito, nessuna frustrazione, nessuna rabbia, rammarico contenuto. Un comportamento impeccabile, hanno ritirato la medaglia e nessuno l'ha tolta dal collo. Aaron Smith ha 34 anni, nella sua carriera sportiva ha vinto e perso. È rimasto in campo, coinvolgendo il figlio in quei particolari momenti. Ha deciso di condividere con il piccolo tutto il cerimoniale, parlando e conversando con lui sul prato verde. Ha ricevuto la medaglia con il bambino. Entrambi sorridevano, non aveva al collo la medaglia d'oro ma quella d'argento. Quest'ultima è quello del battuto, dello sconfitto, del secondo classificato. Aaron Smith ha trasmesso una semplice lezione: importante è competere, cercare di arrivare.  Si deve camminare e non arrivare. L'obiettivo non deve diventare un'ossessione. Il racconto dello sport è dominato dai vincenti: eleva il successo e deprime il fallimento. Non sempre si può vincere. Anzi, il perdente coerente è bello: perché imperfetto.