CORSA
La prima maratona in... libertà
Condannato a 55 anni di carcere, esce dopo "soli" 22: è stato nominato per il Premio Pulitzer
Pubblicato il 09.11.2023 08:56
di Red.
Quando Rahsaan Thomas ha tagliato il traguardo a Central Park, erano passate sei ore, 26 minuti e 21 secondi da quando aveva iniziato la gara al ritmo di 14'45'' al miglio... e più di due decenni da quando, condannato a 55 anni e sei mesi di carcere per omicidio di secondo grado e altre accuse, aveva iniziato un viaggio di redenzione. Perché quella di domenica scorsa a New York è stata la seconda maratona che ha corso in vita sua... ma la prima in libertà.
Il suo debutto nella distanza è avvenuto nel carcere di San Quintín, con i famosi 105 giri del cortile, dove l'allenatore Frank Ruona prepara i detenuti senza chiedere nulla dei loro crimini o della loro condanna. Lì, dove è stato persino realizzato un documentario, "26.2 to life", per raccontare la storia di questi corridori durante un intero anno di preparazione.
"Mi pento di quello che ho fatto, ma non me ne vergogno. Sento che è normale. Se sei cresciuto come sono cresciuto io, e se hai passato quello che ho passato io, potresti aver preso le decisioni peggiori", ha riflettuto Thomas (cresciuto a Brownsville, nell'East Brooklyn, uno dei quartieri più poveri e pericolosi della stessa Grande Mela), quando il 52enne ha potuto finalmente godere, lo scorso febbraio, della libertà condizionata che gli era stata concessa nell'agosto precedente. Il governatore Gavin Newsom ha motivato la commutazione della pena con la riabilitazione di Rahsaan dietro le sbarre, tra cui il suo lavoro per il podcast "Ear Hustle", nominato al Premio Pulitzer, e per l'organizzazione no-profit "The Marshall Project" (sulle disuguaglianze all'interno del sistema giudiziario penale statunitense), oltre ad aver completato corsi universitari e una serie di programmi di auto-aiuto.
Il corridore ha anche fondato Empowerment Avenue, un collettivo che utilizza il giornalismo, la scrittura e l'arte per, come spiega, "affrontare i traumi, i cicli di povertà e l'incarcerazione intergenerazionale". La sua partecipazione alla maratona di New York, infatti, è servita come riferimento per una campagna di donazione per la quale ha anche mostrato la sua gratitudine "a tutte le persone incredibili che hanno mostrato così tanto amore in tutta la città durante la gara, a tutte le persone che hanno donato e sostenuto [...] e soprattutto a Claire Gelbart (un'assistente che ha incontrato in carcere), che ha lavorato così duramente per trasformare il nostro patto in una copertura mediatica nazionale e in una raccolta di fondi".
"Voglio ripagare il mio debito in un modo che sia significativo, perché stiamo sprecando denaro che avrebbe potuto essere destinato alla soluzione di problemi reali. Viviamo in una società che spende 108.000 dollari all'anno per tenere qualcuno in prigione... invece di darne 30.000 per andare a scuola", riflette Thomas, che si considera un "guerriero della giustizia sociale".
Impegnato com'è nel lavoro di consulenza, cerca di alzarsi alle sei del mattino e di andare in palestra non solo per fare chilometri. "Mi fanno male le ginocchia e sono lento", scherza l'uomo che, in ogni caso, ricorda ancora i "crampi immensi" che soffriva alle gambe quando correva in carcere.