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Napoli è tutto da rifare.
Negli ultimi sei mesi la gestione di De Laurentiis ha perso di
credibilità, la programmazione è evaporata, la lucidità è
scomparsa. E il progetto è imploso su sé stesso. È passato solo
anno: la stagione scorsa gli azzurri dominavano il Campionato e
facevano paura all'Europa intera. Sembravano una squadra quasi
“perfetta”. Tutto funzionava. Via Spalletti, via Giuntoli, via il
centrale Kim e tutto è precipitato. Il presidente ha deciso di
accentrare, voleva dimostrare che il Napoli coincideva con la sua
persona che fosse l'unico indispensabile. Ma gli equilibri nel calcio
sono precari, la continuità è una categoria complicata da
raggiungere e mantenere. E serve concertazione. De Laurentiis ha
voluto affermare: qui comando io e questa è casa mia. Ha scelto un
allenatore in maniera provocatoria. Convinto di essere al di sopra
della normalità, sicuro di essere speciale e unico. Rudi Garcia non
aveva nulla da dire al calcio che conta. Ha accettato per inerzia,
pensava di poter galleggiare. E lo sprofondo azzurro si è consumato
in maniera inesorabile. A Milano,
sponda rossonera, il tecnico è apparentemente saldo. Non è a
rischio, lo ha salvato la vittoria contro il Psg. E tuttavia il
problema è evidente e la soluzione non arriva. Pioli sta peccando di
superbia, il superbo è un presuntuoso, si vanta della sua posizione
e del suo potere. Cardinale ha giubilato Maldini con uno scopo
preciso: depotenziare l'area tecnica. E investire dell'autorità,
quasi, completa l'allenatore: così fanno gli americani. Ma Pioli è
speciale, la sua forza era l'ordinarietà e il fatto che fosse
sottovalutato. Ha voluto sfidare il destino e dimostrare di essere
uno dei migliori. Televisioni e stampa lo hanno protetto e lo hanno difeso. Le uniche voci di dissenso provengono dai tifosi. Il Milan non
è una squadra organizzata, procede tentando e gioca in maniera
estemporanea. Campionato e coppa sono in bilico. Federico
Dimarco ha fatto coincidere
professione e tifo. In prima squadra è arrivato quasi per caso. Ha
un piede fantastico, accarezza la palla. È un esistenzialista,
rappresenta l'interismo in guisa viscerale, lo esalta e lo manifesta.
Era lontano dalla porta oltre 56 metri, ha deciso, non ha pensato, ha
tirato, non ha immaginato. Ha segnato un gol magnifico. Ha disegnato
una parabola inimitabile. E ha stupefatto. Meraviglia ed esultanza hanno lasciato il posto alle domande: Che cosa ha fatto? Voleva tirare? Provaci ancora
Federico. Noi sappiamo che ci puoi ancora riuscire: perché tu ci credi.
Calcio
Il tiro mancino e bellissimo di Dimarco
Ma il campionato racconta che il Napoli e il Milan sono in crisi