CALCIO
Scandalosi vitelloni nella bambagia
Calciatori impegnati da mesi in estenuanti negoziati per spuntare salari da epoca pre Covid
Pubblicato il 09.04.2021 06:37
di Andrea Leoni
Ho sempre sostenuto che in tempi di pandemia gli Stati hanno il dovere di sostenere il mondo del calcio come qualsiasi altra industria. Senza privilegi ma neppure senza populismi e ipocrisie. E con un’attenzione particolare all’importante filiera che vive grazie allo sport professionistico, con i suoi innumerevoli posti di lavoro nei più svariati campi. Di ciò resto convinto. 
Non mi hanno mai scandalizzato neppure gli stipendi dei calciatori. Non c’è azienda, capace di fare business, che paga i suoi collaboratori più del valore che sono in grado di produrre. Così è anche nel calcio. E chi sbaglia i conti è costretto presto o tardi a correre ai ripari. Si potrebbe aggiungere che i calciatori non sono certo tra gli sportivi più pagati, eppure solo a loro si rinfaccia la ricchezza. Ciò vale anche per il mondo dello spettacolo: secondo l’ultima classifica di Forbes Dwayne “The Rock” Johnson ha incassato in un anno 87 milioni di dollari, di cui 23 solo per Red Notice, film di prossima uscita. Non ho notizie di spettatori indignati per il cachet.

Questa premessa mi è necessaria per dichiarare che non ho alcun pregiudizio malevolo rispetto ai contratti faraonici. Finché vivremo in un capitalismo sfrenato e nel libero mercato - e tutto fa pensare che da capitalisti e nel libero mercato moriremo - queste sono le regole del gioco. Con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E con un  benessere della middle class che va a periodi - oggi male, in Occidente - e che nei paesi emergenti va invece sviluppandosi. 
Tuttavia, tutto ciò premesso, non si può che provare un sussulto d’indignazione per il comportamento che taluni calciatori (e alcuni agenti e alcuni club: perché tutto è interconnesso) stanno tenendo in materia di rinnovi contrattuali. Atteggiamenti del tutto avulsi dalla drammatica crisi provocata dal Covid sul sistema calcio.

Qualche dato per contestualizzare. Secondo la FIGC in due stagioni la pandemia costerà 600 milioni di Euro ai club della Serie A. In ambito UEFA si parla di perdite dai 6 agli 8,5 miliardi. Parliamo di una voragine senza precedenti che ha già cominciato ad impattare sulla vita di moltissime società. La Juventus negli scorsi giorni ha chiesto ai calciatori di posticipare il pagamento delle quattro mensilità primaverili e mira a ricavare 80-100 milioni di plusvalenze dal mercato entro fine giugno. Tre settimane fa l’Arsenal ha chiesto un prestito bancario di 140 milioni per dare un po’ di ossigeno alla liquidità. E questi sono solo due dei molti esempi possibili. Esempi di vertice, perché molte medio-piccole non pagano gli stipendi da mesi ed è più che legittimo chiedersi come riusciranno a sopravvivere. Ciò ci dice che il sistema sta pericolosamente barcollando, in una sorta di tempesta perfetta, con il franamento simultaneo del vertice e della base. 
In questo quadro è davvero scandaloso, leggere di calciatori impegnati da mesi in estenuanti negoziati, naturalmente al rialzo, per spuntare salari da epoca pre Covid. A lor signori non si chiede certo di sintonizzarsi al mondo reale, tra milioni di lavoratori che hanno perso il posto e altrettanti che attendono un assegno di Stato per sopravvivere, poiché costretti a tenere chiusa la propria attività. No, non è questo che si chiede. Ma da questi vitelloni nella bambagia, è giusto almeno pretendere di essere connessi con il proprio mondo, nella propria bolla, con le difficoltà miliardarie appena esposte. 

I nomi sono quelli sulla bocca di tutti. Per citare i casi più eclatanti in Serie A: Donnarumma e Calhanoglu al Milan, Dybala alla Juventus. Ma ce ne sono altri. Dai loro agenti sono state presentate ai club richieste del tutto spropositate. E questo nonostante le società abbiano messo sul piatto molti denari per soddisfare la loro bramosia di prosperità. 
Milan e Juventus fanno benissimo a non cedere e speriamo tengano duro fino alla fine. Ma al di là di agenti e calciatori che portano sulle spalle la (ir)responsabilità principale, non si può tacere l’assoluta incapacità del mondo del calcio di fare sistema, neppure nel bel mezzo di un’emergenza storica. Se le società avessero stretto un patto, a livello europeo, certi rilanci sarebbero stati semplicemente impossibili. Non sarebbe stata un’idea balzana quella di elaborare un meccanismo per congelare gli stipendi per un paio d’anni, almeno da un certa soglia in su, e fissare un limite, una percentuale massima, di possibilità di rilancio sui contratti in scadenza. Ciò avrebbe portato un minimo di equità, di giustizia e di buon senso in un sistema completamente squassato e ancora non in grado di prevedere i danni reali e ciò che occorrerà fare per risanarli.
Ma queste sono spunti da osservatore, che deve trovare per forza appigli nella razionalità per sviluppare un ragionamento che stia in piedi, almeno un pochino. Se invece dovessimo abbandonarci alla pancia e al cuore del tifoso (che contano altrettanto) ci rivolgeremmo a questi calciatori con poche parole: firmate per quel che vi hanno offerto o andate pure altrove. E a quel paese.