Calcio
Brehme era un crepuscolare
Fu un formidabile e inatteso protagonista dell'Inter dei record
Pubblicato il 21.02.2024 06:08
di Angelo Lungo
Si era sul finire degli anni Ottanta e il calcio stava per chiudere con il suo passato recente, ritenuto onusto e imbolsito. Voleva entrare in una dimensione moderna; intendeva diventare spettacolare; il principio ordinatore era quello di potenziare le sue capacità di attrazione: il tifoso era fedele, ora bisognava concupire lo spettatore. All'epoca le rose erano ristrette, la panchina era corta; i numeri dei giocatori andavano dall'1 all'11 e identificano un ruolo preciso da occupare sul terreno; le formazioni erano da recitare e rimanevano immutabili per anni; i vivai sfornavano calciatori che costituivano le basi delle squadre. I biglietti, tranne quelli della tribuna centrale, non erano numerati, allo stadio bisognava recarsi con largo anticipo, molti non avevano copertura e se il tempo non era clemente, si prendeva anche l'acqua e la catarsi era quasi completa. Il football era un rito, uno dei quelli che resistono pervicacemente, possono subire dei cambiamenti, ma rimangono saldi in un consesso sociale, poiché dotati di una potenza intrinseca inaudita, quasi misteriosa. La Serie A era ricca e opulenta. Presidenti mecenati dominavano il mercato. La panchina dell'Inter era affidata a Giovanni Trapattoni, aveva abbandonato Madama e si era lasciato ammaliare dalla Beneamata, era pur sempre nato a Cusano Milanino. Le sue prime due annate erano state ai limiti della delusione. Ecco la stagione 1988-89, l'Inter si rafforzò sul mercato: con Matthaus, ritenuto uno dei migliori centrocampisti europei; Berti, considerato un talentuoso della mediana; Bianchi, ala destra esile, ma tecnico e di intelligenza tattica sopraffina. Per caso arrivò il centravanti argentino Diaz, il prescelto era stato individuato in Rabah Madjer, il tacco di Allah. L'algerino era stato l'inatteso uomo-partita della vittoria del Porto contro il Bayern, nella finale della Coppa dei Campioni del 1987, non passò le visite mediche e l'Inter prese Diaz. A sorpresa arrivò anche, fu inserito nella trattativa Matthäus, un terzino sinistro: Andreas Brehme. Fu acquistato per una cifra che superava di poco il miliardo di lire. La fascia sinistra, è una di quelle porzioni di campo che costituiscono, da sempre, l'incubo dei tifosi interisti. Pochi calciatori sono rimasti indenni dai mugugni di San Siro. E per gli interisti scattò inesorabile: “Non ci credo”, questa l'espressione che connotò, immediatamente, le prestazioni di Brehme. Era un formidabile terzino che sapeva giocare a calcio con entrambi i piedi, avviava la manovra dalla retrovie, crossava con una precisione chirurgica, traiettorie composte e precise. Era mancino e batteva i rigori di destro. Biondo, composto e tedesco divenne un idolo, e non poteva essere altrimenti. Era un crepuscolare, un formidabile interprete di un calcio andato e che non tornerà mai più. I milanesi conquistarono un clamoroso scudetto, il campionato era a diciotto squadre, i punti ottenuti furono 58 su 68 disponibili. Il racconto parla dell'Inter dei record. Brehme ne fu l'emblema, fu un attore che si prese con garbo, stile ed eleganza la scena. Se la meritò. La storia siamo noi canta De Gregori, tutti possiamo avere un posto, tutti possiamo essere ricordati. Si può assurgere a protagonisti all'improvviso.
(Nella foto Keystone, Matthäus e Brehme)