Roma-Brighton
minuto 43' e gli inglesi erano già in svantaggio; è arrivato un
pallone lungo sulla loro trequarti sulla loro fascia sinistra; Dunk,
centrale lungagnone e macchinoso, ha tentato uno stop improbabile; lo
ha mancato clamorosamente; alle sue spalle c'era Lukaku; il belga si
è involato solo verso la porta e ha segnato facilmente. Errore
marchiano, sesquipedale e quasi decisivo; errore figlio di un
pensiero tattico estremo. Il difensore ha inculcata l'idea che la
palla va sempre giocata e mai buttata in fallo laterale. E invece la
palla andava spazzata fuori dal campo. De Zerbi è quasi diventato
una moda. Etichettato come uno dei potenziali rappresentanti del calcio del terzo
millennio. Piace alla platea. Le sue idee tattiche sono orientate
all'eccesso e all'esecuzione maniacale della stessa trama, prevedono
uno sviluppo continuo e che non ammette deroghe: costruzione dal
basso; azione con due tocchi; difesa alta; pallone sempre in gioco. Il mantra è la ricerca ossessiva della geometria quasi perfetta, come se la bellezza
fosse sempre replicabile. Il risultato fine a sé stesso è aborrito.
Guardiola è ammirato da De Zerbi e dal suo stile, lo vedrebbe bene
sulla panchina del Barcellona. Ma il calcio è fatto anche di
variabili. Non sempre si ha la forza di disinteressarsi bellamente
dell'avversario e proporre integralmente la propria proposta di
gioco. Adattarsi non significa sottomettersi, ma affidarsi
all'intelligenza per superare le difficoltà. Storicamente si vive in
un periodo in cui le ideologie sono ritenute un mero orpello, il
retaggio di un passato che si è illuso, inutili pastoie che
impediscono lo sviluppo. Paradossalmente il mondo del calcio è
affascinato dall'allenatore ideologo, si lascia concupire da chi
divulga riferimenti certi, che sembrano esaustivi. Il principio delle
convinzioni impone: gioca sempre il pallone. Il principio della
responsabilità spiega: quando serve, spazzare senza esitare.
(Foto Keystone/Medichini)