L'Interismo
è fatalismo, misterioso e altero. È una dimensione a parte.
È pura fallacia avere delle aspettative, trovare un ordine, seguire
una trama. Tutto può accadere all'improvviso, si passa continuamente
dalla polvere all'altare. All'ascesa corrisponde, inesorabile, la
caduta: è scritto nel destino. Tutto scorre in maniera precipitosa e
tumultuosa. Impossibile soffermarsi e percepire una logica. È
l'esistenzialismo che prende ineluttabilmente il sopravvento. Inutile
lottare o cercare una spiegazione. L'Inter è come un quadro di
Pollock, incita al dubbio, alla genialità e alla sregolatezza. È
come il libro “Rayuela” dello scrittore argentino Julio Cortazar,
un continuo flusso di coscienza, dove si naviga senza un apparente
orientamento. Fosse una corrente letteraria sarebbe la
“Scapigliatura milanese”, un movimento disordinato e anarchico.
Non si è “Piacevolmente insensibili” come cantavano i Pink
Floyd, ma si deve rimanere “quieti nella disperazione”. Si incede
come Guido Anselmi, Marcello Mastroianni, nel film “8 e mezzo” di
Federico Fellini. Si vorrebbe seguire una direzione, ma il contesto è
complicato. Gli avvenimenti sono intrisi di fantasia, ricordi, sogni
e sprazzi di realtà. Il dominio in Italia è evidente e la
razionalità è la categoria che lo spiega. Esprime un gioco lineare
e bello da vedere, si muove con sicurezza. L'Inter a Madrid è
evaporata. Può solo rammaricarsi con sé stessa. L'Atletico ha
meritato, voleva il risultato, lo ha inseguito, lo ha ottenuto perché
ci ha sempre creduto. La squadra di Inzaghi ha deluso, le è mancato
il cinismo che contraddistingue le grandi. Ha avuto le occasioni per
colpire l'avversario, ma è stata leziosa. L'Europa doveva essere una
conferma, non era richiesta la vittoria finale del trofeo, ma
l'approdo al turno successivo non era impossibile. Il calcio spagnolo
ha ribadito che è superiore a quello italiano, la Liga ha
ridimensionato la Serie A. Ha mostrato una caratura internazionale
superiore, specie per mentalità.
(Foto Keystone/Martin)