Il
principio ordinatore di Massimiliano Allegri è la sicurezza nelle sue capacità. Non ha dubbi circa le sue potenzialità. Sul suo
vessillifero è stampata la seguente frase: Io ho ragione. Si sente
tra i migliori. Esibisce i suoi risultati. A Torino ha vinto uno
scudetto dietro l'altro, dominando gli avversari e guardando tutti
dall'alto in basso. Gestiva una squadra forte e possente, come da
tradizione nella storia dei piemontesi. È stato richiamato da Madama
per ristabilire l'ordine e porre un rimedio a gestioni tecniche
precedenti, ritenute caotiche. Ha un contratto oneroso. I media lo
hanno sempre trattato con deferenza e rispetto. Lui parla e il contesto deve
ascoltare. Le sue metafore sono considerate icastiche e rappresentano cinicamente il suo pensiero: “corto
muso”; “guardie e ladri”. Ogni anno,
a partire anche dal suo secondo mandato, la sua Juve è stata
inserita tra le favorite per vincere il titolo. L'inizio della
stagione è stato promettente, i risultati arrivavano, nonostante
l'assenza di gioco. Poi tutto è precipitato: l'Inter è scappata e pure il secondo posto si è allontanato. La polemica è scoppiata
dopo Juve-Genoa. Intervistato da una tv storicamente amica, il nostro
non ha gradito le velate ed educate critiche. Mister mille punti ha
spiegato: “I giornalisti non devono capire, ma solo fare
domande”. La sua tesi non ammette repliche: i giornalisti non
sanno come “si fa l'allenatore”. I loro commenti, le loro
analisi, le loro interpretazioni mancano della necessaria competenza.
E anche le domande devono avere il crisma “dell'intelligenza”.
Il livornese, riferendosi sempre a i giornalisti, è perentorio:
“L'allenatore sono io, non potete giudicare il mio lavoro”.
Lui “non è un politico” e
poco gli interessa “andare dietro al pubblico”.
Allegri è un pragmatico, le discussioni le ritiene speciose, conta
il risultato. È strapagato per riportare la Juve in Champions, il
resto sono dettagli. E poco importa chi non capisce: si deve
adeguare.
(Foto
Keystone/Bregani)