Il
calcio del secondo millennio, per lunghi tratti, è stato
conservativo. Una tradizione potente, che richiedeva di essere
rispettata. Un rito che confermava, continuamente, se stesso. Una
liturgia laica alimentata dal suo passato. Poi, come nella maggior
parte delle vicende umane, tutto è cambiato. I costi sono esplosi. I
club europei e le Federazioni, alla ricerca di soldi, hanno rivolto
lo sguardo verso gli Stati Uniti. E hanno scoperto il
“merchandising”. E hanno realizzato che la “maglia” poteva
essere un formidabile prodotto. Un tempo era intonsa, era il vessillo
che rappresentava i colori, non poteva essere contaminata. I numeri
andavano dall'uno all'undici e indicavano un preciso ruolo del
calciatore sul terreno da gioco. L'eccezione era il Mondiale, dove la
numerazione era estesa fino al 23. Ma a partire dalla stagione
1995-96 è stato consentito ai giocatori di scegliere il proprio
numero di maglia, con relativa incisione del nome. Poi il “marketing”
ha preso il sopravvento e si è inventato i “colori”, nessuna
pretesa identitaria, ma sguardo rivolto ai giovani e alla moda. La
fantasia è diventata sfrenata. In Germania è polemica per la
decisione in merito al colore della seconda maglia. La casacca sarà
indossata nel prossimo Europeo. La prima maglia rispetta in pieno la
tradizione. La seconda sarà tutta rosa. La Federazione è stata
chiara e senza ipocrisia, ha specificato che si tratta di una precisa
scelta di “mercato”. Si vuole arrivare alle nuove generazioni, a
cui piacciono i colori, lo scopo è vendere. Il tecnico Nagelsmann è
convinto della decisione: “È stata fatta una scelta coraggiosa
quella di portare un po' di colore. A me piace, io la indosserei”.
La 'Bild' ha un'altra opinione e sostiene che “il
rosa non è un colore per il calcio”. La rivista 'Kicker'
ha effettuato un sondaggio, ai due terzi degli intervistati la
maglia non piace. Paul Breitner ha chiosato ponendo due domande: “La
Germania è forse troppo conservatrice su certi temi? Nessuno vuole
il progresso?”.
(Foto Keystone/Vogel)