È
di nuovo Real contro City. L'opinione corrente degli espertia è,
quasi, unanime, chi passerà: diventa la favorita d'obbligo per
alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. In campo si
affronteranno grandi giocatori, ma i veri protagonisti della contesa
sono i due allenatori: un italiano e uno spagnolo. Sono tecnici
vincenti, hanno più volte vinto la Champions, sanno come si fa. I
due sono affini e divergenti.
Guardiola
appare deciso: “Il nostro obiettivo non è venire qui solo per
controllare la partita. Dobbiamo punire il Real. Non basta vincere la
Champions League una volta sola”.
Ancelotti
sembra diventato un risultatista: “L'altro giorno pensavo a una
cosa: se la sconfitta è sofferenza, la vittoria è felicità?. No,
mi sono detto è un sollievo. La felicità arriva se vinci un titolo,
un trofeo. La vittoria singola fa sentire solo più contenti”.
Lo
spagnolo
è indiscutibilmente un innovatore, non è un conservatore: è capace
di imporre la sua cifra stilistica.
È
un visionario, convinto che il collettivo debba essere unito e
compatto, assertore che la sconfitta fa male davvero ma che fortifica
e che bisogna festeggiare con moderazione. Esalta il calcio che
richiede coraggio e fantasia, disciplina e capacità di assumersi le
proprie responsabilità. Predilige: possesso palla e gioco veloce,
ritmi alti e manovra avvolgente, i giocatori devono avere tecnica e
lucidità nelle decisioni. E non propone i medesimi schemi: li mette
in discussione e li stravolge. Si evolve: prima ha fatto scomparire
il centravanti, poi lo ha rimesso all'improvviso al centro del suo
gioco. Il suo mantra è: passione e movimento
L'italiano
è uno dei più grandi in circolazione. Le grandi partite per lui non
hanno segreti, la Champions non lo destabilizza, riesce a mantenersi
saldo. Rispetto ai suoi connazionali è flemmatico e impassibile, non
si scompone, non gesticola e sembra non dia mai segni di nervosismo.
È un normale capace di diventare unico. Le sue rivoluzioni sono
silenziose e sottovalutate. La sua forza è la versatilità, non si
adatta ai tempi, li studia, li analizza e li smonta. Non è né un
conservatore né un innovatore. La sua impronta tattica è chiara: il
modulo è secondario, non è un integralista, ma adotta un sistema
modellato sulle caratteristiche dei giocatori. È un freddo: il caso
caso non lo destabilizza, lo neutralizza e poi procede spedito. Il
trucco non è complicato: le partite vanno indirizzate, seguendo lo
spirito che aleggia su di esse, ma si deve essere capaci di sentire.
(Foto Keystone/Fernandez)