TENNIS
I tanti "poveri" del tennis
Uno degli sport più amati del mondo fa ricchi soltanto i più grandi: e gli altri?
Pubblicato il 21.04.2024 06:59
di Red.
Con il successo al Masters 1000 di Miami, Jannik Sinner ha confermato il primo posto in una speciale classifica: quella delle entrate economiche dell’anno 2024, ovviamente relative al tennis. Come scrive la Gazzetta dello Sport, Sinner a 22 anni si è messo in tasca quanto il ceco Ivan Lendl guadagnò in una carriera intera. Con i 21 milioni e 200 mila dollari raccolti finora, Sinner è il 26esimo tennista più ricco della storia, ovviamente guardando solo ai ricavi derivanti dai tornei, e dietro di lui ci sono Hewitt, Roddick, Ivanisevic ed Edberg.
Ma il tennis non è solo Sinner o Alcaraz: è uno sport che cresce di anno in anno, se guardiamo al numero di appassionati, agli investimenti, ai biglietti venduti. ma è anche un insieme di giocatori che faticano ad arricchirsi, che devono fare i conti con costi piuttosto elevati per continuare a fare carriera.
È il problema storico e poco noto di una disciplina elitaria. Già nel 2013 il tennista argentino Thomas Bucchas (da 1.355esimo al mondo) aveva scritto alla Federazione Internazionale dicendo che «giusto un centinaio di persone potessero vivere di tennis, perché al resto dei giocatori non ci guadagnava nulla». Di per sé, a pensarci bene, non c’è nulla di sbagliato in un criterio meritocratico che lega i guadagni alle vittorie, ai successi ottenuti in campo. A confronto dei protagonisti di altri sport, per esempio calcio e basket, i tennisti fanno una vita diversa: non godono di uno stipendio annuale, previsto dal contratto con una squadra, ma sono liberi professionisti. E allora pagano le trasferte, gli allenatori e lo staff indipendentemente dalle partite che vincono. A certi livelli è impossibile dedicarsi a un secondo lavoro, ma è fondamentale la ricerca continua di uno sponsor. Nel 2020 fu SuperTennis a presentare un confronto economico: Medel al Bologna guadagnava 1,5 milioni di euro, Destro al Genoa 1,2 milioni, Pazzini al Verona 1,3, Petagna alla Spal 1,2. Erano tutti buoni calciatori che non sarebbero mai rientrati nella top 100 del loro sport, eppure avevano stipendi importanti. Ecco l’enorme differenza: i tennisti di quel livello rischiano spesso di non arrivare a fine mese. 
A Djokovic, che naturalmente non è toccato da questi problemi, e a Patrick Mouratoglou – famoso per essere il coach di Serena Williams e il fondatore di una delle Accademie di tennis più importanti al mondo – va dato il merito di aver più volte menzionato il problema. «Ho provato a mettermi nei panni di tutti quei tennisti che non sono nelle top 100, e vale per uomini, donne e doppisti: se non vinci almeno un torneo al mese la vita è dura», ha dichiarato il campione serbo lo scorso novembre. «Quando ho iniziato anche io non godevo di un grande sostegno da parte della federazione serba. Oggi ho una certa influenza e voglio fare qualcosa. La situazione attuale è un fallimento del nostro sport». Mouratoglou, da parte sua, aveva perfino inviato una lettera alla Federazione internazionale: «Il nostro sport è bellissimo ma il periodo della pandemia non ha fatto altro che enfatizzarne quello che non funziona del sistema. Chi è fuori dalla top 100 fa fatica a chiudere l’anno in pareggio e la sostenibilità economica è la sua prima sfida professionale. Si tratta di una preoccupazione che non dovrebbe riguardare uno sport seguito da almeno un miliardo di fan in tutto il mondo. Il tennis non può vivere solo di élite, lasciando indietro tutti gli altri. Il tour si atrofizzerebbe».
Non mancano esempi che provano le loro parole. Si è molto parlato di Jason Kubler, tennista australiano che ai tempi delle giovanili era stato paragonato a Rafa Nadal, e che ha affrontato proprio il maiorchino a Brisbane. Si era ritirato nel 2016 a causa di un problema congenito alle ginocchia, ma è rientrato perché gli erano rimasti solo 14 centesimi sul conto corrente, nella speranza di recuperare qualcosa. Tim Mayotte, statunitense ex top 10, aveva detto che, per raggiungere uno stipendio decente, servivano «200 mila dollari all’anno di premi». Il suo connazionale Noah Rubin, che per miglior ranking ha il 125esimo posto del 2018, ha confermato che non si può vivere senza sponsor: «Se sei fuori dalla top 100 fai fatica a trovarli. Non basta giocare, occorre vincere. Ma non puoi sempre riuscirci a questi livelli».
(Da rivistaundici.com)
(Foto Keystone)