Lo zurighese (originario di
Lurate Caccivio), era stato protagonista di una rocambolesca fuga nella tappa Napoli-L’Aquila,
impresa che gli aveva fatto guadagnare un pesantissimo grappolo di minuti di
vantaggio, oltre mezzora sui big, Fausto Coppi e Hugo Koblet in prima fila. Fu
proprio Hugo, che Carlo considerava come un fratello, a permettergli di
trionfare a Milano, come era successo a Koblet il 13 luglio 1950 (primo
straniero a vincere la corsa della ‘rosa’).
Quella di 70 anni fa fu una
specie di ‘rivincita’ per lui, accusato di avere aiutato Koblet, nel Giro vittorioso,
rimasto appiedato a seguito di una foratura. I giornali della Penisola
parlarono di scandalo. Clerici tornò in Italia, appunto nel 1954, con il
passaporto elvetico. Aveva disputato il Giro per essere d’aiuto a Koblet (ne
era suo fedelissimo gregario). Evidentemente quella tappa, la sesta, cambiò il corso
(e il gusto) delle cose.
Abbiamo conosciuto Carlo nella
città della Limmat. A distanza di tempo, tra aneddoti e ‘visioni’ del ciclismo del
passato e del presente, siamo a metà anni Settanta, Clerici ricordava ancora
con una punta di amarezza il trattamento che gli avevano riservato i media
italiani: “Hanno continuato a rivangare stupidamente, per anni e anni,
quell’episodio”.
Lo aveva ribadito anche al
collega Mariano Botta dalle colonne del GdP: “Essendo ancora italiano tanti
non apprezzarono il fatto che aiutassi Hugo”.
Sono trascorsi 17 anni dal
giorno in cui la maglia rosa non c’è più. Nei nostri incontri ha sempre messo
in vetrina il suo amore, la sua passione per il ciclismo e i suoi attori, dal
più umile dei gregari al campione. Anche dopo le luci della ribalta Carlo
Clerici (in rosa per ben 17 tappe) si è sempre considerato, da persona umile qual
è sempre stato, soltanto un gregario.
(Nella foto, Carlo Clerici, al centro, con gli amici della boutique zurighese)