Diego
Pablo Simeone
era un centrocampista che soffriva, la mediana era il suo territorio
esistenziale. La sua faccia lasciava trasparire malinconia e
tristezza, non di quelle che inibiscono, ma quelle che promettono:
lui sul campo avrebbe giocato fino all'ultimo, come se non ci fossero
altre partite da disputare. Testa sempre altra, fierezza e orgoglio
contro ogni avversario. Poi è arrivata la carriera da allenatore. La
sua dimensione l'ha trovata in Spagna. Sempre vestito di nero. Il
colore, in generale, esprime un pensiero, dietro c'è un'idea. Il
nero è considerato come l'insieme di tutti i colori. È profondità
e contrasto. Rimanda all'oscurità. Incita all'opposizione e alla
protesta. E nacque il “cholismo”.
Non inganni l'ismo. Si tratta di una forma di ribellione popolare.
L'obiettivo è abbattere l'ordine costituito specie quando è forte e
potente. El Cholo vuole diventare eterno
e sfida il tempo. Partita dopo partita, vittoria dopo vittoria,
record su record, ha cambiato la storia dell'Atletico. Ha vinto
campionati, ha vinto coppe internazionali, ha disputato finali di
Champions. È diventato un tecnico longevo, in club che gli
allenatori li schiacciava. Ora è vicino a un grandissimo traguardo
per il calcio spagnolo e non solo. Dopo 677 panchine è vicino ad
ottenere la vittoria numero 400. Questi i numeri dei rivali storici:
Miguel Munoz con il Real ne ha conseguite 357; Johan Cruyff con il
Barcellona ne conta 244. A livello internazionale: Alex Ferguson ha
condotto il suo Manchester a vincere 743 volte in 1.283 partite;
Arsene Wenger risponde con 592 successi in 1.053 incontri. Ma c'è un
altro dato clamoroso, è considerato un allenatore difensivista,
mancano tre partite alla fine del torneo nazionale, ma ha nel mirino
un altro record: ancora 8 gol e diventerà il mister che ha
festeggiato più reti nella Liga.
(Foto Keystone/Aragon)