OFFSIDE
Lugano, dalla polvere... all'altare
Nel 2001 lo spareggio con lo Shaktar, poi gli anni bui e la lenta rinascita
Pubblicato il 21.05.2024 10:09
di L.S.
Sono giorni belli in casa Lugano: si festeggia il secondo storico posto, che vuol dire Champions League, e ci si prepara per la finale del 2 giugno a Berna contro il Servette.
Non è ancora tempo di pensare al futuro: il presente è troppo importante, quasi ingombrante.
Ci sono i ricordi di 23 anni che fa riemergono: quello spareggio per la Champions, poi perso, contro lo Shaktar Donetsk, aveva rappresentato fino ad oggi il punto più alto del nuovo millennio.
Erano i tempi del tandem Jermini-Morinini, che oggi purtroppo non ci sono più, ma che avevano fatto sognare migliaia di tifosi, e di una squadra forte che aveva sfiorato il titolo.
C’era l’indimenticata coppia Rossi-Gimenez in attacco, mentre in porta giocava Razzetti. E poi Rota, capitano all’epoca, con Zagorcic, Bastida, Gaspoz, Bullo, Rothenbühler e i due Magnin. Che squadra e che emozioni.
Morinini era avanti con le idee: lo diceva sempre il presidente Jermini, che lo amava come un figlio. L’anno dopo, era il 2002, il presidente perse la vita in tragiche circostanze e il Lugano finì in un lungo e nero tunnel.
Sappiamo tutti come risorse quel club, e come fu faticoso arrivare fino ai nostri giorni. Passando attraverso il tanto discusso pesciolino dell’Agno, fino a Preziosi, e poi a Renzetti, che tre anni fa ha ceduto a Mansueto. Tutti hanno passato il testimone a chi arrivava dopo, con la consapevolezza di aver scritto pagine importanti di questa società.
Arriverà il nuovo stadio, ci saranno giocatori che partiranno e altri che arriveranno, ma il club, che ha retto anche alle sferzate più violente, sembra posseduto da una forza incrollabile, da una magìa che lo fa riemergere anche nelle situazioni più complicate.
Come Cao Ortelli, attuale assistente di Croci-Torti, uomo intelligente e sensibile, che ha saputo passare attraverso le varie peripezie bianconere (e anche di salute personale) e farsi trovare pronto al momento della chiamata del suo amico Crus. Un uomo che incarna il Lugano, con i suoi successi e le sue sofferenze.
Un uomo a cui proprio il tecnico bianconero, l’altro giorno, ha lasciato volentieri microfono e palcoscenico. Era giusto che chi c’era più di vent’anni fa, chi ha scritto un pezzo di nobile storia bianconera, fosse lì a testimoniarlo, a spiegare cosa significa rinascere e tornare a vivere da protagonisti. Agitando la bandiera bianconera, con estrema fierezza.
Perché chi non si dimentica del passato, sa come godere del presente.
(Foto Keystone/Bott)