FUORI ORARIO
Nessuno è straniero
In un suo editoriale Gianni Brera, allora direttore di “Gazzetta dello Sport”, declamava la vittoria di Koblet al Giro
Pubblicato il 25.05.2024 08:13
di Enrico Lafranchi
Il Giro che si conclude domani a Roma continua a catturare un’attenzione pazzesca. “Pogacar lascia a bocca aperta gli spettatori” (‘Tuttosport’), per lo sloveno sono stati ‘coniati’ soprannomi invero originali (alieno, squalo, marziano, ‘cannibale’…). Hugo Koblet (1925-1964) primo straniero a vincere il Giro d’Italia, era più elegantemente conosciuto come ‘le pédaleur de charme’. Walter Lutz (1921-2014), direttore del trisettimanale ‘Sport’, lo aveva definito “un uomo di classe innata”, per gli italiani era “bello di fama e di sventura, come direbbe il poeta, Koblet è stato – col suo volo da arcangelo cui presto furono tolte le ali – un campione destinato a lasciare nel ciclismo una traccia profonda”.
Con l’arrivo vittorioso a Locarno, ancora con Fritz Schär in maglia rosa (dalla seconda tappa), Koblet si aggiudicò la 33.esima edizione davanti a Bartali e ad Alfredo Martini, Kübler finì quarto. Hugo fu primo anche sul traguardo di Vicenza (ottava tappa), con la conquista della maglia rosa che avrebbe portato sino a Roma. Un aneddoto curioso che Gian Paolo Ormezzano (1935), già direttore di ‘Tuttosport’, narra nella sua ‘Storia del ciclismo’: “Per l’Italia quello era l’anno Santo, l’ideale sarebbe stato avere in Vaticano per l’udienza speciale con il Papa, Gino il pio in maglia rosa. Invece si presentò Koblet, calvinista, cioè il più anticattolico dei protestanti. Pio XXII parlò a Koblet in tedesco, si svolse davvero un dialogo ad alto livello. Con le guardie svizzere attente e ammirate. Un altro protestante elvetico, Kübler, si commosse, disse che voleva baciare l’anello del Papa ma, intimidito, restò appoggiato a una colonna mentre Koblet presentava al Papa sua madre”.
Da un periodico illustrato della ‘rosea’: “Una magia rosa per il bell’Hugo. Al Giro emerge un biondo atleta venuto dalla Svizzera, si chiama Hugo Koblet. Deve avere letto i consigli di monsignor Della Casa se, ogni volta che si approssima l’arrivo, si rialza per pettinarsi e rendersi presentabile alle ammiratrici”.
‘Nessuno è straniero’. Alcuni passaggi di un editoriale, definito ‘storico’, di Gianni Brera (1919-1992), che ha lasciato una profonda impronta sul giornalismo sportivo: “Tabù nelle 32 edizioni precedenti, il nostro Giro è stato vinto quest’anno da uno straniero. In sede teorica, allorché molto si lavorava per attirare alle corse italiane il fior fiore dell’altrui ciclismo, tale esito veniva persino invocato da noi e da quanti hanno a cuore le sorti dello sport. Né l’affermazione di Hugo Koblet ci coglie ora con l’amaro in bocca. Anzi ci esalta la sua impresa come e più l’avesse compiuta un italiano. Perché nello sport non vi sono stranieri, lo sport è affermazione di vita nelle sue forme più limpide e leali”.
“Abbiamo udito molti deprecare che non fosse un italiano a vincere il Giro. Taluni, per fortuna pochi, hanno anche peccato di buon gusto nel far tragico l’evento, quasi che qualcosa venisse sottratto al valore dei nostri per la vittoria di un giovane che, bello e splendente di mezzi, ai nostri non è per nulla inferiore. Ebbene, noi abbiamo ora l’intimo orgoglio di poter, primi, salutare in Hugo Koblet la grande rivelazione del ciclismo mondiale, il campione completo, l’asso autentico. È bello, ci sembra, che sia stato proprio il nostro Giro a consacrare così meritevole atleta”.
“Egli ha lottato con leale impegno per il suo buon nome e per lo sport del suo Paese: ma dalla sua prodezza viene illustrato anche il Giro, dunque il nostro sport che al Giro ha dato vita per 33 anni. Hugo Koblet merita che gli sportivi italiani l’abbiano a salutare d’ora innanzi come l’hanno salutato con simpatia lungo gli itinerari della nostra maggiore corsa a tappe. Il ciclismo mondiale ha trovato in lui un alfiere degno, per quanto giovane ancora, dei nostri campioni maggiori”.
(…) “Lo sport non ha barriere di sangue, né d’opinioni. Nello sport non vi sono e non vi debbono essere stranieri. Vi sono atleti – grandi e meno grandi – che lottano per prevalere in leali competizioni agonistiche. Hugo Koblet è uno di questi”.
I ‘pensieri’ di Brera, in carriera anche direttore della ‘Gazzetta’, avevano lasciato il segno anche in Ticino.
“Quel grande maestro di giornalismo che fu Gianni Brera – leggiamo in un pezzo di Tiziano Colotti (1929-2010) – citando il verso di Dante nella Divina Commedia dedicato al principe Manfredi – volle ricordare anche la gentilezza d’animo di Hugo che lo aveva affascinato non solo per le sue straordinarie imprese sulle strade europee ma soprattutto per la simpatia che il ‘pédaleur de charme’ irradiava in tutti. Ho conosciuto personalmente Koblet, diventato commentatore radiofonico, in Belgio seguimmo un mondiale della pista. Era un uomo bonario, modesto e umile. Una vita troppo crudelmente breve la sua, che mi ha lasciato nella mente e nel cuore un ricordo commosso, affettuoso, indelebile”.
Anche Sandro Picchi (1941), ne ‘La storia del ciclismo’, sua opera ‘monumentale’ in fascicoli, riconosce le qualità e capacità di Hugo: “Primo straniero a vincere il Giro nel ’50 correndo agli ordini di quel sapiente tecnico che dimostrò di essere Learco Guerra, fu protagonista di un epico duello con Fausto Coppi sullo Stelvio tre anni dopo, nel Giro 1953 che pareva già suo, ma l’attacco del campionissimo lo costrinse alla resa e al secondo posto. L’ ‘angelo biondo’ dallo stile perfetto non è stato sempre fortunato, pur essendo un formidabile cronoman non è mai riuscito a diventare campione del mondo dell’inseguimento”.
Emilio Colombo (1884-1947), ex calciatore poi redattore e anche direttore di ‘Gazzetta dello Sport’ (e del ‘Guerin’), di Guerra corridore aveva tracciato l’immagine di ‘locomotiva umana’. Per Rino Negri (1924-2011) “il campione di Mantova cavalcava la bicicletta con tale imperio e tanta potenza da giustificare l’iperbole”. In un opuscolo del ’53 in cui si pubblicizza ‘Cicli Learco Guerra, la marca che ha lanciato Hugo Koblet e ha ripreso la costruzione della bicicletta Locomotiva – l’ammiri ad occhi spalancati, la comperi ad occhi chiusi’, a ‘Learcone’ – campione d’Italia su strada a 40 anni (!), sesto titolo dopo i cinque consecutivi – viene dedicata la ‘canzone del campione del mondo’.
In squadra con Hugo c’erano i fedelissimi gregari Gottfried e Leo Weilenmann. Fritz Schär correva per la Arbos, Ferdy Kübler era con la Fréjus.
(Foto Keystone)