È stato un bel giocatore e un
dirigente stimato da tutti Il momento più brutto della
sua carriera di calciatore, senz’ombra di dubbio, è stato quando si è
accasciato sul terreno da gioco. Eravamo sul finire degli anni Settanta, al
‘Popolo e Libertà’ il direttore Attilio Grandi – reduce dal Cornaredo – ci
aveva portato in redazione la brutta notizia. Appendere le scarpe al chiodo
all’apice della maturità calcistica è stato un momento doloroso per il giovane
talento. Dieci anni dopo ne avevamo parlato su L’Eco dello Sport. I nostri
contatti erano diventati frequenti: “È stato duro accettare di smettere, in
cambio ho però avuto altre belle soddisfazioni”. La salute e la famiglia in
primo piano: “Guardo sempre quello che mi è successo da un’angolazione
positiva”.
“Un dirigente cortese,
schietto e concreto”, questo il titolo della pagina in cui avevamo pubblicato
l’intervista. La vita di Bruno Beyeler (1952-2019), di cui ricorre proprio questo
mese il quinto anniversario della sua prematura scomparsa, è stata praticamente
tutta (salvo una breve parentesi a Losanna) tra il bianco e il nero: i colori
della squadra del cuore (quelli dello ‘storico’ FCL).
Stimato ovunque per la sua
serietà, Bruno operava con competenza, saggezza e profonda onestà. Sempre per
il bene della società. E sempre nel rispetto dei ruoli. Il dirigente fa il
dirigente, il tecnico fa il tecnico: “Duvillard è un allenatore che non ha
niente da imparare dagli altri”. Si rallegrava dicendo: “Io e Marc abbiamo la
stessa età”. Parliamo, ovviamente, di un Lugano di altri tempi. Della squadra
che nella stagione 1987-88 sarebbe tornata in Lega nazionale A insieme al Wettingen
(l’intervista l’avevamo fatta una settimane prima). Erano anni in cui nel FC
Lugano c’era un’esplosione di giovani. “Ragazzi – aveva precisato da CT – che
hanno dentro di loro una grande determinazione, valorizzati e fatti crescere da
un grande ‘maestro’ come Bruno Quadri” (Beyeler è stato anche in panchina con
Quadri e Hussner, oltre che con Vincenzo Brenna). Da ‘classico’ fedelissimo
amava citare i ‘momenti’, soprattutto quelli piacevoli (qua e là erano tempi di
musi lunghi e personaggi chiusi): “Avevo 16 anni quando il Lugano trionfò al
Wankdorf (finale di Coppa con il Winterthur) ... È stata una grande gioia
mettere la maglia bianconera… Era il sogno che ogni ragazzino luganese
accarezzava… Ho debuttato in Coppa con il San Gallo…”. Ne andava orgoglioso.
Per noi era un simpatico ritrovarsi anche fuori dallo stadio. Chiacchierando, ne
uscivano le sue elevate qualità umane.
È un caro ricordo, seppure
intriso di tristezza, quello che teniamo di Bruno. Una persona amabile.
(Foto Keystone/Mathis)