FUORI ORARIO
Una vita in bianco e nero
Cinque anni fa moriva Bruno Beyeler, un grande dirigente del FC Lugano
Pubblicato il 27.05.2024 21:22
di Enrico Lafranchi
È stato un bel giocatore e un dirigente stimato da tutti Il momento più brutto della sua carriera di calciatore, senz’ombra di dubbio, è stato quando si è accasciato sul terreno da gioco. Eravamo sul finire degli anni Settanta, al ‘Popolo e Libertà’ il direttore Attilio Grandi – reduce dal Cornaredo – ci aveva portato in redazione la brutta notizia. Appendere le scarpe al chiodo all’apice della maturità calcistica è stato un momento doloroso per il giovane talento. Dieci anni dopo ne avevamo parlato su L’Eco dello Sport. I nostri contatti erano diventati frequenti: “È stato duro accettare di smettere, in cambio ho però avuto altre belle soddisfazioni”. La salute e la famiglia in primo piano: “Guardo sempre quello che mi è successo da un’angolazione positiva”.
“Un dirigente cortese, schietto e concreto”, questo il titolo della pagina in cui avevamo pubblicato l’intervista. La vita di Bruno Beyeler (1952-2019), di cui ricorre proprio questo mese il quinto anniversario della sua prematura scomparsa, è stata praticamente tutta (salvo una breve parentesi a Losanna) tra il bianco e il nero: i colori della squadra del cuore (quelli dello ‘storico’ FCL).
Stimato ovunque per la sua serietà, Bruno operava con competenza, saggezza e profonda onestà. Sempre per il bene della società. E sempre nel rispetto dei ruoli. Il dirigente fa il dirigente, il tecnico fa il tecnico: “Duvillard è un allenatore che non ha niente da imparare dagli altri”. Si rallegrava dicendo: “Io e Marc abbiamo la stessa età”. Parliamo, ovviamente, di un Lugano di altri tempi. Della squadra che nella stagione 1987-88 sarebbe tornata in  Lega nazionale A insieme al Wettingen (l’intervista l’avevamo fatta una settimane prima). Erano anni in cui nel FC Lugano c’era un’esplosione di giovani. “Ragazzi – aveva precisato da CT – che hanno dentro di loro una grande determinazione, valorizzati e fatti crescere da un grande ‘maestro’ come Bruno Quadri” (Beyeler è stato anche in panchina con Quadri e Hussner, oltre che con Vincenzo Brenna). Da ‘classico’ fedelissimo amava citare i ‘momenti’, soprattutto quelli piacevoli (qua e là erano tempi di musi lunghi e personaggi chiusi): “Avevo 16 anni quando il Lugano trionfò al Wankdorf (finale di Coppa con il Winterthur) ... È stata una grande gioia mettere la maglia bianconera… Era il sogno che ogni ragazzino luganese accarezzava… Ho debuttato in Coppa con il San Gallo…”. Ne andava orgoglioso. Per noi era un simpatico ritrovarsi anche fuori dallo stadio. Chiacchierando, ne uscivano le sue elevate qualità umane.
È un caro ricordo, seppure intriso di tristezza, quello che teniamo di Bruno. Una persona amabile.
(Foto Keystone/Mathis)