TENNIS
Essere Alcaraz
Uno scrittore ed ex tennista spagnolo spiega cosa significa essere un grande campione
Pubblicato il 13.07.2024 07:49
di Red.
"Non è stato mio padre a spingermi a giocare a tennis, ma io a spingere lui! A sei anni ero in un gruppo e giocavo tre o quattro giorni a settimana, ma già allora la domenica, alle 8 del mattino, quando non c'era nessuno al club e le luci erano spente, chiedevo a mio padre di venire al campo per poter giocare di più. Se mio padre non voleva venire, mi scontravo con un muro. Quando hai quattro o cinque anni non sai cosa vuoi fare della tua vita, ma quello che sapevo è che mi piaceva colpire la palla e vedere cosa succedeva".
Parole di Carlos Alcaraz, 21.enne, campione in carica di Wimbledon che domani affronterà Djokovic in quella che è la rivincita più attesa di questi ultimi anni.  
Luis Torres de la Osa, per molti sarà un nome conosciuto, ma in Spagna è diventato molto famoso. Era tra le promesse più grandi del tennis spagnolo, ma non riuscì a resistere alle pressioni, ai ritmi di uno sport che se non sei forte mentalmente ti uccide.
È diventato scrittore di successo, scrivendo libri proprio sul tennis, di storie di ragazzi bruciati da uno sport molto duro. È quasi un genere letterario, infatti di recente è uscito un libro, Nocturno de tenis, in cui Luis Torres de la Osa spiega le sue vicissitudini di giovane che finisce quasi per impazzire. Molti si ricorderanno il libro di Andre Agassi, "Open", in cui il leggendario tennista racconta l'odio per il padre e per questo sport. Il genere è quello.
È lo stesso Torres de la Osa a spiegare fino a che punto tutto ciò sia sconvolgente. "Ti fanno impazzire, non capisco perché non ci siano più pazzi, è una macelleria il circuito, è un tritacarne. Ogni anno tanti tennisti entrano in questa bella giostra con tante illusioni e alla fine quanti ne rimangono? Prendiamo i campioni juniores del Roland Garros e di Wimbledon, il 3% di loro sono professionisti, e stiamo parlando di ragazzi fantastici, ragazzi che a 17 anni hanno vinto Wimbledon o Roland Garros e tutto questo talento ha una bella parte ma...", spiega l'autore, che ci tiene a parlare di quello che per lui è stato un autentico trauma.
Essere Alcaraz implica aver superato molti filtri e aver fatto molti sacrifici. "Bisogna essere consapevoli che un tennista si forgia attraverso l'allenamento e la prima base che un tennista in erba deve avere è una gigantesca dedizione di tempo, di fatto sbilanciata rispetto all'età del bambino. A 13 anni si inizia ad allenarsi per molte ore. Questo mette sotto pressione le altre attività e a 15 o 16 anni si deve prendere una decisione. Coloro che inseguono il sogno, che sono una miriade di ragazzi, tendono a scegliere il tennis sopra ogni altra cosa e questo significa più sacrifici, più rinunce. Non solo a possibili vite alternative, ma anche alle uscite con gli amici, alle ragazze, ai concerti, ai pasti... in realtà, per essere un magnifico tennista devi passare molti anni rinunciando in modo molto innaturale a tutto ciò che la vita ti offre", dice Torre de la Osa.
Torre de la Osa rivela che Alcaraz gli piace più di Nadal proprio per la sua naturalezza, perché lo vede "più aperto, più giovane, che parla di più e dice quello che pensa". Insomma, per ragioni di carattere. Si può essere un grandissimo campione e non essere così severo e duro come lo è stato spesso il suo predecessore.
E forse Alcaraz, con quel sorriso stampato in faccia, piace proprio per questo. Perché vero, spontaneo e giovane. 
Un Yamal del tennis. Uno che fa sognare la Spagna e che domani affronterà il suo esatto contrario. Quel Djokovic che per molti motivi sta dall'altra parte della tavola. E anche per quello, sarà una sfida affascinante.
(Foto Keystone)