O
altare o polvere, o successo o fallimento, Southgate cerca
disperatamente la vittoria. Ne ha bisogno lui, ne bisogno
l'Inghilterra. La sua carriera è a un bivio, ma non ci sono strade
da scegliere, il percorso gli è stato indicato. Il trofeo lo deve
alzare, lo deve conquistare. Siede sulla panchina della sua Nazionale
dal 2016, è un'eternità. Percepisce un lauto stipendio che sfiora i
sei milioni di euro, è strapagato. De la Fuente ne prende poco più
di un milione. La storia racconta di un quarto posto ottenuto a un Mondiale e della finale europea giocata e persa in casa contro
l'Italia. È consapevole di non avere alternative: o sarà ricordato,
comunque, come un vincente, oppure come un perdente. In conferenza
stampa è sembrato ispirato e realista. Confessa che le ultime
settimane sono state “delle montagne russe”, con orgoglio
è convinto che lui e i suoi hanno “migliorato la credibilità
del calcio inglese”, una sorta di missione compiuta. Ma è
consapevole che il giudizio finale e la percezione conclusiva
dipendono da un solo risultato “finché non vincerai quel trofeo
ci saranno sempre domande sia all'estero che in patria su ciò che
abbiamo fatto”, in realtà in caso di sconfitte sa che bene che
cosa aspetta lui e i suoi calciatori. E allora ha concluso in maniera
poetica ed esistenzialista: “Non credo nelle favole, ma credo
nei sogni”. La pressione sull'Inghilterra è altissima, in
Patria il successo finale lo si pretende: spinge la tradizione;
spinge una smodata e storica ambizione; spinge la convinzione che la
Premier sia il campionato dei campionati; spinge la sicurezza di
avere una squadra piena di grandi giocatori. Ma è una finale e come
tale i pronostici sono in bilico, una scommessa tra lo zero e
l'infinito. E l'avversario è di quelli pericolosi, quelli che
durante il torneo hanno maggiormente impressionato per velocità di
gioco e tecnica di esecuzione. E quindi caro Gareth ascolta Vecchioni
che canta: “Chiudi gli occhi ... e credi solo a quel che vedi
dentro”.
(Foto Keystone)