CALCIO
Un palcoscenico ideale
Vito Bevilacqua è tornato in Ticino, al Taverne, dopo 20 anni di panchine nella Svizzera romanda
Pubblicato il 23.07.2024 06:40
di Enrico Lafranchi
Ci siamo promessi di non parlare del Chiasso. Al lettore attento diciamo: “Io so che tu sai che io so” (è il titolo di un film). Vittorio Bevilacqua, sangue rossoblù – questo si può dire - dopo una ventina di anni trascorsi nella Svizzera romanda è rientrato al sud delle Alpi. Quasi sicuramente è il suo compleanno numero 66 (sta dietro l’angolo) a riportarlo in Ticino (da dove è partita la sua bella carriera di giocatore). Il suo presente, e presumibilmente anche il suo futuro, è qui. Parte da Taverne, al presidente Burà il suo nome è stato ‘sussurrato’ da Damiano Meroni che allena proprio il Chiasso! Può sempre succedere qualcosa di straordinario nel calcio, Bevilacqua non ne fa mistero: sulla panchina dell’Yverdon c’è stato a tre riprese…
Sono felicissimo di essere tornato in Ticino, contento di continuare a fare quello che mi piace anche qui”. Ha lavorato su piazze importanti: “Mi sono trovato bene dappertutto, l’apice l’ho avuta a Yverdon con tre anni in Challenge League, poi Delémont e La Chaux-de-Fonds. In seguito ho allenato squadre di Prima Lega Promotion e Classic e da ultimo i ragazzi dello Xamax (U17) con cui mi sono divertito moltissimo. Alla Maladière c’era un contesto molto professionale”. Non è stato tutto oro da tutte le parti, chiaro, Vito però non si è mai lasciato andare, ha avuto fiducia nei suoi mezzi, nelle sue possibilità, nelle sue qualità.
Il calcio della Svizzera romanda è tanto diverso dal nostro?
“C’è una mentalità molto diversa, in Ticino il Lugano è all’apice, il Bellinzona sta cercando di ritornare ai fasti di un tempo. Sto seguendo la partita con il Wil (sabato scorso al Comunale, ndr) perché i sangallesi saranno nostri avversari in Coppa”.
Ritrovi un ambiente a te caro da giocatore:
“Non bisognerebbe essere nostalgici, però vedo che c’è poca gente e non funziona l’orologio (inaudito, è stato messo in funzione verso la fine della partita, ndr). Il campo invece è bellissimo (in barba a quanto abbiamo spesso sentito dire, ndr).
Guardare con nostalgia fa comunque bene:
“Non si possono fare paragoni con il passato. Quando giocavo io c’erano 5-7 mila persone, con Paulo, Kubi e Philippe ne arrivavano 10-16 mila…”.
Ah, che città, ah che tempi, direbbe il caro Plinio Grossi:
“Si continua a parlare di quegli anni, vedo sempre le stesse facce, la gente invecchia, in agosto per me sono 66… (senti chi parla, si ride)”.
A Bellinzona da qualche anno il calcio passa inosservato:
“Bisognerebbe dare più spettacolo in modo da fare tornare allo stadio le famiglie e i giovani. È vero che anche il Lugano, con quel po’ po’ di risultati raggiunti con Mattia Croci Torti, Crus è entrato di diritto nella storia della società, ma Cornaredo non attira più di 3000 persone pur giocando bene e divertendo. Poi succede che alla finale di Coppa si muovono in dodicimila a Berna. Mah…” (sabato contro il GC si è registrata un’affluenza di solamente 3300 spettatori, superiore solo a quella di Yverdon, 2900, ndr).
L’impatto con il Taverne come è stato?
“Molto positivo. Mi piace molto il presidente Carlo Burà perché è una persona alla buona, come quelle di una volta”.
Che squadra vedremo?
“Siamo ancora un po’ un cantiere, abbiamo avuto una decina di giocatori in prova. La rosa, comunque, al 70/80 per cento è fatta”.
Ambizioni?
“L’obiettivo è mantenere la categoria. Mi è stata chiesta una salvezza con meno patemi d’animo della passata stagione. Ma secondo me nel calcio bisogna essere ambiziosi, sia da parte dell’allenatore che dei giocatori. Una volta completata la rosa potrò dire qualcosa di più. In ogni modo sono contento dello spirito che regna nella società e nella squadra. C’è un gruppo sanissimo formato da giovani e meno giovani”.
Neuchâtel è stata la tua ultima stazione: come è andata?
“Abbiamo fatto un bel campionato, avevo una rosa di 24 giocatori, ne abbiamo portati 10-12 nella U19. Lo scopo era di formare questi ragazzi per la categoria superiore, tuttavia non essendoci la U21 i più bravi passeranno, forse, con Ueli Forte in prima squadra. Devo dire che nel calcio dei giovani c’è più adrenalina, io ci sono stato poco in carriera: 20 anni fa a Lugano, quest’altra esperienza mi ha molto arricchito”.
(FOTO ENLA)