Nadal
ha perso. È stato sconfitto. Lo ha battuto, nettamente, Djokovic.
Dopo la partita lo spagnolo era irritato, gli è stata posta
l'ennesima domanda sul suo futuro: “Ogni singolo giorno mi
chiedete se mi ritiro, non potete aspettarmi dopo ogni partita con
questo pensiero”. Lui ce la mette sempre tutta: “Provo a
fare meglio ogni giorno”. E avverte: “Mi sono divertito
per tanti anni, ho sofferto, ho subito tanti infortuni negli ultimi
due anni, se dovessi sentire che non sono più competitivo deciderò
di smettere”. Sportivo e fine carriera è un grande dilemma.
Una decisione lacerante. Il corpo parla, lancia segnali. Ma l'atleta
non intende ascoltare questi avvertimenti, li ignora, vuole andare avanti.
Lo sport moderno è altamente competitivo sotto l'aspetto agonistico,
richiede forza, velocità e resistenza. Gli allenamenti sono sempre
più estenuanti, gli impegni si susseguono incessantemente. Ma è
forte la volontà, molto spesso fallace, di continuare a esserci. È
il desiderio di contrastare il tempo e il carico di usura che porta.
Un incontro e il pubblico costituiscono dei richiami troppo forti a
cui resistere. Nadal ha sempre vissuto sul sacrificio, ha costruito
la sua carriera sul suo carattere ferreo, la sua resistenza è stata
proverbiale. Tanti infortuni e tanti ritorni. Lo spagnolo contro un
suo eterno rivale nulla ha potuto. Ha corso; ha tentato di spostarsi
rapidamente; si è impegnato strenuamente; ha cercato di tirare le
sue bordate, ma tutto questo non ha funzionato; i suoi colpi non sono
più efficaci; i suoi fendenti non sono più ficcanti. Il campo è
implacabile, sta rimandando le immagini di un grandissimo in difficoltà.
Il campione porta sul terreno un magnifico spirito di abnegazione.
Sublima la sofferenza. Ma tutto questo non basta. Gli appassionati lo
amano. Le sue esibizioni sono un tributo continuo. Lo saluta come se
fosse l'ultima volta. E lo ringrazia. Nadal non si ferma per adesso:
c'è il doppio con Alcaraz.
(Foto
Keystone)