Ci
si lamenta spesso (sempre e tutti) degli arbitri, che a causa della loro
precoce formazione non hanno mai giocato a calcio e quindi non capiscono alcune
dinamiche che invece il calciatore divanato decifra al volo anche con una birra
in mano. Propongo di obbligare i giovani e futuri arbitri a giocare fino almeno
a ventidue anni, anche in Quinta va bene, inframmezzando la pratica con la formazione
arbitrale. E fin qui ci sono, col ragionamento.
Il
passo ulteriore è inverso, convincere ogni ragazzo che gioca a calcio ad
arbitrare di tanto in tanto, anche solo fino agli allievi C, per dire. Il qui
scrivente, che ormai è ai box per via degli anni impossibili che si porta sulle
spalle e a causa della sospensione pandemica del calcio amatoriale, ha
arbitrato per la prima volta una partita un paio di settimane fa, tra due
squadre di allievi E. Ebbene: ho visto una partita da una prospettiva sconosciuta
fino a lì, dentro il campo, senza toccare la palla, senza parteggiare, senza
farsi distrarre dalle giocate, tenendo il punteggio (è finita otto a otto e non
avevo abbastanza dita), fischiando con cognizione, guardando il cronometro,
applicando le regole che possono anche essere sconosciute – la rimessa laterale
con i piedi, il fuorigioco solo in area, per esempio.
Immediatamente
ho dovuto assumere una circospezione comportamentale che nella vita non ho,
un’equidistanza, una pacatezza. A un certo punto un ragazzino mi ha detto che
avevo sbagliato, con molta educazione. Al mio perché mi ha spiegato (avevo
fischiato un errato fuorigioco su una rimessa laterale, ingannato dalla battuta
con i piedi). Ho chiesto scusa, ha sorriso e la partita è andata avanti senza
rancore.
Tutto
questo discorso per dire che se le due categorie si scambiassero fisicamente i
panni l’educazione e la sportività, la tolleranza e la competenza, ne
guadagnerebbero. Io ci scommetto. Poi magari sto scoprendo l’acqua calda e il
mondo è andato avanti senza di me.