Calcio
"Volevamo fare felice la gente”
L'argentino Mario Kempes ricorda il Mondiale del 1978
Pubblicato il 14.10.2024 06:57
di Red.
Negli anni Settanta una generazione perse la speranza, aveva messo in discussione 'la legge del padre', si sentiva stretta nella categoria imposta dalla borghesia. Ma la sua rivoluzione fu depotenziata, esplose disordinata, ma fu prima contenuta, poi limitata, infine cancellata. Nel 1978 il Mondiale di calcio fu organizzato dall'Argentina. La televisione stava intuendo la forza del football, stava saggiando la sua formidabile capacità di attrazione. Molte partite si giocavano quando in Europa era notte, magliette classiche, dove campeggiava solo il numero dei giocatori. Capelli lunghi, leve lunghe e pallone calciato con il sinistro, uno dei protagonisti di quell'edizione fu Mario Kempes. Argentina significava regime militare, una dittatura che nel silenzio faceva rumore, e inflisse una ferita enorme nella popolazione. Kempes è in Italia, e si lascia andare ai ricordi. “L'unico nostro divertimento era quello di giocare a calcio”, così rammenta la sua gioventù. In finale, che si disputò nello stadio Monumental di Buenos Aires, arrivarono i padroni di casa e i Paesi Bassi, si impose l'Albiceleste ai supplementari per 3 a 1. Fu la notte di Kempes, segnò due gol. “Eravamo una squadra inesperta”, l'allenatore era Menotti che “pensò a creare un gruppo”, ma: “Essere campioni non era la nostra ossessione, volevamo fare felice la gente”. Il discorso dell'allenatore prima della partita “durò meno di una sigaretta”, le aspettative erano altissime “sapevamo di avere una grande responsabilità, vedevamo l'emozione della gente che ci chiedeva di vincere”. Sul suo paese: “L'Argentina viveva un momento terribile, voi sapete cosa stava succedendo dei desaparecidos”, lui giocava in Spagna: “Quando succede il peggio lo vieni a sapere, in realtà a quei tempi non lo sapevamo”, sottolinea: “Dicono che abbiamo vinto grazie ai militari, ma non è stato così”, aggiunge: “Noi non avevamo relazione con i militari, rappresentavamo il calcio”, conclude: “Abbiamo dato felicità al popolo argentino”.
(Foto Keystone)