C'erano
una volta uno svedese (Sven-Göran Eriksson) e un italiano (Fabio
Capello). Ora c'è un tedesco. La panchina dell'Inghilterra ha un
nuovo allenatore, sarà assistito da Anthony Barry. Thomas Tuchel ha
raggiunto l'accordo con la Federazione, il contratto durerà sino al
2026 e si insedierà il 1° gennaio, lo stipendio è di 5 milioni
annui, un compenso quasi normale e che non fa effetto. Il casting è
durato poco, secondo i dirigenti è stato individuato: “Un
tecnico di qualità e di esperienza”. Il nostro si è detto
entusiasta, in un video ha fatto una solenne promessa, cari inglesi
la lunga attesa sta per finire, bisogna aspettare ancora un po', ma
poi arriverà il tempo della vittoria, l'obiettivo è il Mondiale,
Tuchel è chiaro: “Voglio la seconda stella da inserire sulla
maglia”. Ma il proclama e il programma ambizioso non sono bastati. I tabloid sono scatenati, contestano la nomina. Secondo “The
Daily Mail” Southgate non era apprezzato, ma “ha dato identità
alla nostra nazionale, era uno di noi” e ha titolato: “Un
giorno nero per l'Inghilterra”. La “BBC” fa notare che la
decisione “potrebbe essere considerata da molti un insulto nei
confronti dei manager di maggior talento di casa”. Sam Wallace,
giornalista sportivo molto quotato, sul “Daily Telegraph” scrive
che: “La Germania non avrebbe mai affidato la sua squadra a un
inglese ed è giusto così. La nazionalità è il punto centrale del
calcio internazionale”. Poco importa che la Premier sia un
campionato cosmopolita. Si importano dirigenti, allenatori e
giocatori. Poi c'è un dato da evidenziare: da quando esiste la
Premier League nessun tecnico inglese l'ha vinta. Gli unici
britannici a riuscirci sono stati due scozzesi: Alex Ferguson con lo
United; Kenny Dalglish con il Blackburn. L'ultimo inglese a trionfare
fu Howard Wilkinson, quando il Leeds diventò campione, si era nel
1992.
(Foto
Keystone)