CALCIO: IN RITIRO CON L'UNDER 21
"Capire l'uomo per poi aiutare il giocatore"
In ritiro con la nazionale Under 21 di Lustrinelli: il ticinese ci racconta il suo modo di essere allenatore
Pubblicato il 29.05.2021 08:57
di Luca Sciarini
Nel centro del campo, arringa una delle due squadre. Quella con la maglia bianca (vedi foto).
Li carica, li vuole più grintosi, più decisi.
Mauro Lustrinelli è anche questo: un allenatore che durante una partitella in allenamento, si comporta come se fosse una finale di Champions.
Vuole trasmettere emozioni, far capire ai ragazzi che ogni momento è importante. Che attraverso ogni allenamento si può crescere.
La scena è emblematica della passione che Mauro mette in questa professione.
"I ragazzi devono capire che questo è un periodo decisivo per la loro carriera, è il momento di fare l'ultimo passo per arrivare alla nazionale maggiore. Sta tutto nelle loro mani. Non si può più parlare di nazionale giovanile, qui siamo uno staff di 13 persone e si lavora già come una prima squadra".
Allenare e giocare sono due cose molto diverse. Mauro col tempo l'ha capito.
"Fare l'allenatore è un piacere ma anche una grande responsabilità. Dal punto di vista mentale è più dura, c'è più pressione e non hai la possibilità di sfogarti come facevi una volta sul campo. Qui l'adrenalina devi imparare a gestirla".
E in effetti a bordo campo, Lustrinelli è sempre molto composto e tranquillo. Almeno apparentemente.
"Devi gestire al meglio le emozioni che senti addosso, per cercare di entrare in empatia con i ragazzi. A me preme capire soprattutto cosa hanno bisogno e cercarli di aiutarli durante la partita. Sono convinto che preferiscano vedere una figura serena di fronte a loro. Ognuno ha la propria personalità, ma io ho scelto di essere così, di controllare i miei stati d'animo e il linguaggio del mio corpo".
Si può studiare un atteggiamento del genere? Pare di sì...
"Io cerco di imparare dai grandi allenatori, di studiare come reagiscono in certe situazioni. Da giocatore ho maturato esperienze importanti, ma da allenatore devi capire che dietro ogni giocatore c'è innanzitutto una persona e io devo fare il possibile per aiutarla a tirare fuori il massimo da se stessa".
Mauro ha conseguito una laurea in economia: gli studi possono aiutare in una carriera come questa di allenatore?
"Anche se in ambiti ovviamente differenti, credo che qualcosa ho imparato dai vari professori accademici che ho avuto la fortuna di frequentare: certi comportamenti ti lasciano qualcosa. All'inizio volevo diventare professore di università ma poi il calcio ha avuto la meglio e ho capito che non avrei mai potuto vivere senza".
Nella Under 21 si è comunque più selezionatori che allenatori. Si può lasciare la propria impronta a livello tattico e di gioco?
"Credo di sì, d'altronde se confrontiamo le nostre partite di adesso con quelle di due anni fa vediamo che qualcosa è cambiato. Noi vediamo la nostra mano, si nota la voglia di una mentalità offensiva, di un calcio più diretto verso la porta avversaria".
E la moda tanto in voga adesso, di giocare molto con il portiere, con una moltitudine di passaggi tra i difensori, le piace?
"Si tratta effettivamente di una moda, una cosa che anni fa non si vedeva. Anche a noi piace costruire dal basso, anche se in effetti comporta qualche rischio. Ovviamente non bisogna esagerare e quando si può si deve provare a verticalizzare. Io preferisco un calcio più concreto".
E la parola spettacolo che tanto è di moda, si può fare o è pura utopia?
"Più che fare spettacolo è importante vincere, poi le persone sono contente. Mourinho ha sempre detto: "La priorità è vincere, se poi vinci bene è meglio. In questi ultimi anni con la nostra Under 21 abbiamo ricevuto diversi complimenti per il nostro gioco e questo ci rallegra".
Con la Under 21 ha ancora un contratto di due anni e poi?
"Non lo so, adesso sto molto bene qui e sono concentrato su questo progetto. Penso che in futuro poi potrei andare in un club. Qui si lavora soltanto 40 giorni all'anno con la squadra e la maggior parte del lavoro è lontano dal campo. Vedere tantissime partite, anche dal vivo e tenere i rapporti con i giocatori. Un lavoro che mi piace ma è chiaro che un giorno mi piacerebbe tornare ad allenare tutti i giorni".
Com'è il rapporto con Tami e Petkovic, responsabile delle squadre nazionali e allenatore della nazionale?
"Con loro ci sentiamo spesso, soprattutto con Tami. Ci scambiamo le nostre riflessioni, cerchiamo di capire come migliorare il nostro lavoro".
E questa massiccia componente ticinese in nazionale, cosa ne pensa?
"Non so se si tratta di un caso, ma forse sì, anche perchè siamo arrivati tutti in momenti diversi. Penso che il ticinese, che parla molte lingue, possa essere il tramite perfetto tra la mentalità tedesca e quella francese.
E del ticino calcistico che impressione ha?
"Per fortuna che continuiamo ad avere una squadra in Super League, questo è estremamente importante. Anche se quest'anno ho visto che nel Lugano i giovani non hanno avuto tantissimo spazio. Con la retrocessione del Chiasso adesso manca una squadra di sbocco per i ragazzi che escono dall'Under 18 del Team Ticino, che spesso non sono pronti per il grande salto in Super League. Questa squadra in futuro potrebbe anche essere il Bellinzona".