Calcio
Il Var all'italiana
Vogliono decidere sempre e solo gli arbitri, a modo loro
Pubblicato il 21.10.2024 06:40
di Angelo Lungo
Lo scempio di Milan-Udinese; la doppia mancata espulsione di Douglas Luiz (Juve-Lazio); il rigore inesistente fischiato al Napoli; la mancata espulsione di Cristante (Roma-Inter). Il Var all'italiana non è una tragedia, ma si è trasformata in una farsa continua. Regolamenti stravolti, assenza di uniformità, e regolarità del torneo inesistente. Eppure Gianluca Rocchi, il designatore arbitrale di Serie A e Serie B, è stato chiaro: “Il Var interviene quando c'è un errore importante. Poi è tutta soggettività”. La struttura: gli arbitri non vogliono rinunciare al loro potere, impongono la loro discrezionalità, scardinano il regolamento con l'interpretazione. Ora nella stagione corrente si è scoperto: lo Step on foot; il DOGSO. Si tratta di una forzatura linguistica che fa storcere il naso ai puristi, ma è una deriva che fa male al calcio e a quella parvenza di spirito del gioco che andrebbe preservata. L'uso della tecnologia è imprescindibile, non si può tornare indietro. Ma la sua importanza viene svalutata, depotenziata, ostacolata. Ancora Rocchi: “Perché al tavolo ci sono persone (gli arbitri nella sala Var)”. E la categoria è ermetica. Si protegge, si giudica, si assolve. I controllori di una partita, sono consapevoli che saranno i controllati in un'altra. Il circolo vizioso è evidente, si direbbe un palese conflitto di interessi. La dinamica è chiara. Non ci sono dubbi. Ergo: il contatto in area di rigore è abolito. Non si può più toccare assolutamente l'avversario. E infine: la sudditanza psicologica esiste e ci sarà sempre. Ha più forza del Var, ne ha eluso le sue potenzialità, altro che trasparenza. La Lazio, sicuramente, sarà risarcita, quando incontrerà, ad esempio, il Bologna o il Como. Un noto politico italiano, aduso al potere, lo ha esercitato per tanti anni, disse: “A pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina”.
(Foto Keystone)