Lo
scempio di Milan-Udinese; la doppia mancata espulsione di Douglas
Luiz (Juve-Lazio); il rigore inesistente fischiato al Napoli; la
mancata espulsione di Cristante (Roma-Inter). Il Var all'italiana non
è una tragedia, ma si è trasformata in una farsa continua.
Regolamenti stravolti, assenza di uniformità, e regolarità del
torneo inesistente. Eppure Gianluca Rocchi, il designatore arbitrale
di Serie A e Serie B, è stato chiaro: “Il Var interviene quando
c'è un errore importante. Poi è tutta soggettività”. La
struttura: gli arbitri non vogliono rinunciare al loro potere,
impongono la loro discrezionalità, scardinano il regolamento con
l'interpretazione. Ora nella stagione corrente si è scoperto: lo
Step on foot; il DOGSO. Si tratta di una forzatura linguistica che fa
storcere il naso ai puristi, ma è una deriva che fa male al calcio e
a quella parvenza di spirito del gioco che andrebbe preservata. L'uso
della tecnologia è imprescindibile, non si può tornare indietro. Ma la
sua importanza viene svalutata, depotenziata, ostacolata. Ancora
Rocchi: “Perché al tavolo ci sono persone (gli arbitri
nella sala Var)”. E la categoria è ermetica. Si protegge, si
giudica, si assolve. I controllori di una partita, sono consapevoli
che saranno i controllati in un'altra. Il circolo vizioso è
evidente, si direbbe un palese conflitto di interessi. La dinamica è chiara. Non ci sono dubbi. Ergo: il contatto
in area di rigore è abolito. Non si può più toccare assolutamente
l'avversario. E infine: la sudditanza psicologica esiste e ci
sarà sempre. Ha più forza del Var, ne ha eluso le sue potenzialità,
altro che trasparenza. La Lazio, sicuramente, sarà risarcita, quando
incontrerà, ad esempio, il Bologna o il Como. Un noto politico
italiano, aduso al potere, lo ha esercitato per tanti anni, disse: “A
pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina”.
(Foto Keystone)