Una finale tutta inglese
I duellanti
Una sfida tra due grandi allenatori
Pubblicato il 29.05.2021 12:27
di Angelo Lungo
L’atto finale della Champions va in scena proponendo un derby inglese. Premier dominante, a conferma di una tendenza manifestata negli ultimi anni.
Il fatturato è icastico e non mente: il valore di mercato della rosa del City è di 1,02 miliardi di euro, quello del Chelsea è di 786,80 milioni di euro.
Ogni commento risulta essere superfluo quanto specioso.
Dando un calcio ai freddi numeri e tornando a risvolti più poetici, uno temi proposti dalla sfida è lo scontro tra Tuchel e Guardiola. Un tedesco versus uno spagnolo, uno dei due, meritatamente, siederà sul trono d’Europa.
Thomas Tuchel, 47 anni, ha l’aria di un professore severo ma non altero. In Germania è soprannominato “Sportwissenschaftler” ossia lo “scienziato dello sport”. Interrotta precocemente la carriera di calciatore a causa di un grave infortunio, si laurea in economia aziendale. Ma sente forte il richiamo del campo. Si mette a studiare tattica, applicando modelli matematici, e intraprende la carriera di allenatore. Impone subitaneamente il suo stile: maniacale attenzione ai dettagli, analisi minuziosa dell’avversario per capirne pregi e difetti. Organizzazione ben definita ma anche variabilità dei moduli. Raggiunge la finale per il secondo anno consecutivo. Non si atteggia, non è un egocentrico e nell’epoca “dell’immagine” è di certo uno dei tecnici più sottovalutati. Prima di Natale il Psg lo esonera, non proferisce parola, non polemizza. Lo chiama il Chelsea, avviato verso una stagione fallimentare nonostante ingenti investimenti operati nell’ultima campagna acquisti. Risultato: i londinesi sembrano una macchina che funziona, una compagine giovane, tecnica e di gamba e finale conquistata con merito.
Josep Guardiola, 50 anni, ha bisogno di questo successo, per stesso e per confermare la sua grandezza, pare non avere alternative. Palmarès impressionante il suo. Il catalano è un personaggio: studiato, osannato, amato, ma anche osteggiato e criticato. È un innovatore. È un visionario. È un realista. L’uomo ha certezze granitiche, non retrocede rispetto ai suoi dettami: un gioco che esalta coraggio e fantasia, ma che necessita pure di disciplina tattica e attenzione. I suoi calciatori devono essere tecnici e capaci di assumersi responsabilità. Non è un conservativo: plasma la sua squadra in maniera plastica. Non propone gli stessi schemi: li mette in discussione, si evolve.
Ne resterà solo uno: una finale, un duello.
I giocatori faranno la partita sul campo verde, ma il vero duello è tra i due mister. E il perdente non avrà scampo: la ferula della critica sarà implacabile.
Sicuro sono strapagati, ma si provi: a formare uno spirito di squadra vincente; a guardare tutti i calciatori nello stesso modo; a formare un gruppo dove tutti i componenti pensano simultaneamente nella medesima maniera; a trasmettere coraggio e autostima.
Scrive Gian Paolo Montali: “Capacità di allenare i sogni, questa è una delle caratteristiche che deve avere un bravo coach e un bravo capo, affinché il viaggio non finisca mai. In modo che ognuno abbia sempre una sua Itaca in mente”.