Non è il solito
Europeo e fin qui siamo tutti d’accordo.
Il rinvio di un
anno, il covid che è ancora tra noi, l’itineranza di una manifestazione che
perde inevitabilmente un po’ di identità e una nazionale, quella rossocrociata,
che parte senza quella spinta emotiva di cui solitamente godeva.
Certo, basterà
battere domani il Galles e d’abrupto la partita di mercoledì contro l’Italia si
trasformerà nella partita del secolo. Sappiamo com’è fatto il calcio e sappiamo
come siamo fatti noi tifosi. Ci accendiamo al primo tiro in porta, alla prima
finta di Shaqiri, al primo gol di punta di Gavranovic.
Insomma, ci
accontentiamo di poco. Com’è giusto che sia o che dovrebbe essere lo sport.
Intanto però
domani si gioca e quel “relativismo” che ci piace ostentare, facendo finta che
si tratta pur sempre e solo di una partita di calcio, alla fine soccombe. Siamo
“animali” da tifo, inutile nasconderlo.
Ed è così che mettendoci
davanti al teleschermo, verremo inevitabilmente assaliti dalle aspettative. Chi
più chi meno.
“Il Galles
bisogna batterlo”, “vabbè se non battiamo i gallesi” e via dicendo. Battute scontate
ma che celano un pizzico di verità. Se perderemo la prima faremo probabilmente
le valigie.
Baku, lo hanno
già ricordati tutti in questi giorni, non ci regala grandi ricordi. Eppure qui
si può scrivere su un foglio bianco o meglio, riscrivere la storia. Di quella “maledetta”
città e soprattutto del nostro calcio.
I pronostici sono
sempre ostici, soprattutto perché la ragione si incrocia con il tifo e con
quella speranza, flebile ma sempre onnipresente, che possa accadere il miracolo,
come accadde alla Danimarca nel 1992 e al Portogallo nel 2004.
Sognare non costa
nulla o quasi. Al massimo convivremo con un’altra piccola delusione. In fondo,
ci siamo abituati. Polonia e Svezia non vi dicono nulla?
Difficile “pesare”
il reale valore della squadra di Petkovic, che inanella buoni risultati con
avversari spesso mediocri e non convince mai fino in fondo quando è chiamata
alla prova del nove.
Per il tecnico e
per questo gruppo, un’altra occasione (l’ultima sarà tra un anno e mezzo in
Qatar) da acchiappare al volo. Per cercare di lasciare il segno nella storia
della nostra nazionale e del nostro calcio e per non dover parlare in futuro,
di una squadra che avrebbe potuto e dovuto fare di più.