Capire perché la
nazionale svizzera abbia offerto una prestazione così scialba, al limite
dell’irritante, mercoledì scorso a Roma contro l’Italia, non è certo facile.
Ci sono
sicuramente degli aspetti tecnico-tattici che non hanno funzionato ma è altresì
probabile che l’aspetto mentale abbia svolto un ruolo fondamentale.
Lo abbiamo
chiesto a Diego De Gottardi, psicologo sportivo e ovviamente tifoso della
nostra nazionale.
Ecco qui sotto la
sua analisi.
“Una delle
cose che balza subito all’occhio è la discrepanza tra ciò che si dice e ciò che
si fa. In questo senso torno sulle parole di Petkovic, che aveva sempre detto
che avrebbero giocato quegli elementi con più minuti nelle gambe. Mi sembra che
non siastato così. Un esempio su tutti è
Rodriguez, un giocatore che non si è mai risparmiato e che mi è sempre
piaciuto, ma che contro l’Italia ha fatto molta fatica.
Vlado ha fatto
perciò delle scelte conservative, preferendo affidarsi a quello zoccolo duro su
cui aveva sempre fatto affidamento. Alla vigilia della gara aveva però detto
che avrebbe messo in campo la squadra migliore per provare a vincere. Tutti si
aspettavano qualche novità, qualcuno di più fresco. E invece… niente.
L’impressione
è che l’allenatore abbia attuato così per difendere la propria panchina: se
cambi qualcosa e poi perdi, ti esponi inevitabilmente alle critiche. Così
facendo invece la colpa ricade soprattutto sui giocatori. Le scelte
dell’allenatore, che non ha saputo rinnovare e osare, si riflettono poi in
campo, dove la Svizzera è sembrata lenta, soprattutto di testa, nel reagire
alle varie situazioni.
Si potrebbe
parlare anche del caso Sommer: ovviamente non abbiamo perso per colpa sua, ma è
chiaro che la sua prestazione non sia stata eccellente. Mi chiedevo se non
fosse inconsciamente distratto dal pensiero del parto, se la sua energia
psichica, che non si può controllare, non fosse venuta un po’ meno. Dare una
chance a un altro portiere, in quella situazione sarebbe stato un messaggio
importante per tutti. Si eviterebbero così che dei pensieri “selvaggi” si
insinuino nella testa dei giocatori, che a un certo punto potrebbero pensare
che “se non faccio parte dello zoccolo duro, non gioco mai”.
La stessa cosa
vale un po’ anche per Gavranovic: dopo la gara con il Galles ho cercato di
interpretare il suo linguaggio del corpo quando è uscito dal campo e si è
incrociato con Petkovic. Non mi è sembrato che ci fosse un gran contatto tra i
due.
Mi sembra che
in questi anni proprio Petkovic abbia dimostrato delle lacune a livello
comunicativo: un episodio su tutti quello con Behrami. Se è vero che adesso è
arrivato Tami a dare una mano in questo senso, mi sembra che internamente ci
sia sempre una difficoltà a livello di comunicazione.
Un ultimo
aspetto, altrettanto importante e di cui si parla spesso, è quello legato alla
leadership.
Mi pare di
poter dire che Xhaka e Shaqiri, deputati a essere i leader della squadra,
caratterialmente non siano così adatti. Se i presunti leader non vengono
riconosciuti dai compagni, è possibile che all’interno del gruppo si sviluppi
del malcontento. Sono problemi che poi si dilatano quando le cose non vanno bene.
Ora sarà
interessante vedere, al di là del risultato, l’impegno che la squadra metterà
in campo contro la Turchia. Mi aspetto di vedere un atteggiamento simile a
quello che sfoggia regolarmente la Danimarca: alla fine i danesi hanno perso, è
vero, ma dal campo sono sempre usciti a testa alta e accompagnati dagli
applausi del pubblico.
A queto punto
non resta che tirar fuori una bella reazione e mostrare di avere carattere, poi
a bocce ferme ci sarà tutto il campo per capire in maniera trasparente quali
siano veramente i problemi e come fare per risolverli".