Lutz Pfannnstiel, tedesco di Zwiesel, 48 anni, ex-portiere delle
giovanili del Bayern Monaco, è l’unico calciatore ad aver giocato da
professionista in tutti i sei continenti, leggi confederazioni calcistiche del
mondo. Direttore sportivo del Fortuna Düsseldorf in Bundesliga fino alla stagione
scorsa, ora è al St. Louis City nella massima lega americana. In queste
settimane lavora come esperto sia per la TV svizzera di Zurigo che per la ZDF
tedesca. Il 26 dicembre del 2002 fu vittima di un arresto cardiaco in campo.
Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung ha riassunto alcuni ricordi.
“Era andato. L'hanno riportato indietro. Alla vita. È stata
l'immagine che ha dominato la prima settimana di questo campionato europeo: il
caso di Christian Eriksen. Non solo il suo cuore si è fermato, un intero
stadio, anzi l'intero mondo del calcio ha trattenuto il respiro. Per un
momento. È stato uno shock immenso anche per me. Ma soprattutto: un déjà vu.
Io venni riportato in vita da Ray Killick, il nostro
fisioterapista del tradizionale club inglese Bradford Park Avenue. “He’s dead!
He’s fucking dead". È morto! È morto, caz…", furono le sue parole in
quel momento. Era il giorno di Santo Stefano del 2002 che in Inghilterra si
chiama Boxing Day. Un giorno di dicembre freddo e ventoso. All'epoca stavamo
giocando con il Bradford Park Avenue contro l'Harrogate Town nella Northern
Premier League.
Dopo circa mezz'ora di gioco, Clayton Donaldson corre nell’area
dopo un passaggio, io esco dalla porta, ero più veloce sulla palla, lui ha
cercato di superarmi con un tuffo ma colpisce la mia cassa toracica con il suo
ginocchio mentre cadeva. Una botta come un fulmine. Vedo le stelle. Immediatamente
sono rimasto senza fiato. Mi rialzai un attimo, ma crollai di nuovo
immediatamente. Un knockout!
"È morto! È morto, caz…!" si dice che abbia
gridato Killick più e più volte. Questo è quanto mi dissero i compagni di
squadra dopo. Gli assistenti portarono in campo la mia ragazza di allora, che
all'epoca era incinta e che probabilmente mi avrebbe visto un'ultima volta. Non
c'era un defibrillatore sul campo in quel momento, ma il nostro fisioterapista
stava tenendo dei corsi di primo soccorso in Inghilterra, e facendo la
rianimazione bocca a bocca mi ha riportato in vita. Arrivata l'ambulanza i
medici mi misero una maschera di ossigeno in primis e grazie ad altre cose le
mie condizioni si stabilizzarono. La botta mi provocò un arresto cardiaco e
rimasi in coma per più di due ore.
Ho seguito la partita della Danimarca negli studi di
ZDF e dal primo momento, quella sera, ho cominciato a non sentirmi bene. Tutto
bene quel che finisce bene: tra Eriksen e me, due dinamiche differenti ma… ho
vissuto un déjà vu che non vorrei riprovare un’altra volta”.
Lutz Pfannenstiel pubblicò vita e miracoli nella sua autobiografia “Unhaltbar”
(che sta per imparabile, insuperabile) nel 2009 raccontando vent’anni di
carriera in circa 30 squadre e 6 continenti. Il sottoscritto lo accompagnò
quando dovette firmare per il Guanzhou (Cina) nel febbraio del 1998.