CALCIO: UN CASO CHE RICORDA QUELLO DI ERIKSEN
“He is fucking dead”, è morto caz…"
Il portiere tedesco Pfannenstiel rimase in coma sul campo per due ore
Pubblicato il 22.06.2021 09:37
di Giorgio Keller
Lutz Pfannnstiel, tedesco di Zwiesel, 48 anni, ex-portiere delle giovanili del Bayern Monaco, è l’unico calciatore ad aver giocato da professionista in tutti i sei continenti, leggi confederazioni calcistiche del mondo. Direttore sportivo del Fortuna Düsseldorf in Bundesliga fino alla stagione scorsa, ora è al St. Louis City nella massima lega americana. In queste settimane lavora come esperto sia per la TV svizzera di Zurigo che per la ZDF tedesca. Il 26 dicembre del 2002 fu vittima di un arresto cardiaco in campo. Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung ha riassunto alcuni ricordi.
Era andato. L'hanno riportato indietro. Alla vita. È stata l'immagine che ha dominato la prima settimana di questo campionato europeo: il caso di Christian Eriksen. Non solo il suo cuore si è fermato, un intero stadio, anzi l'intero mondo del calcio ha trattenuto il respiro. Per un momento. È stato uno shock immenso anche per me. Ma soprattutto: un déjà vu.
Io venni riportato in vita da Ray Killick, il nostro fisioterapista del tradizionale club inglese Bradford Park Avenue. “He’s dead! He’s fucking dead". È morto! È morto, caz…", furono le sue parole in quel momento. Era il giorno di Santo Stefano del 2002 che in Inghilterra si chiama Boxing Day. Un giorno di dicembre freddo e ventoso. All'epoca stavamo giocando con il Bradford Park Avenue contro l'Harrogate Town nella Northern Premier League.
Dopo circa mezz'ora di gioco, Clayton Donaldson corre nell’area dopo un passaggio, io esco dalla porta, ero più veloce sulla palla, lui ha cercato di superarmi con un tuffo ma colpisce la mia cassa toracica con il suo ginocchio mentre cadeva. Una botta come un fulmine. Vedo le stelle. Immediatamente sono rimasto senza fiato. Mi rialzai un attimo, ma crollai di nuovo immediatamente. Un knockout!
"È morto! È morto, caz…!" si dice che abbia gridato Killick più e più volte. Questo è quanto mi dissero i compagni di squadra dopo. Gli assistenti portarono in campo la mia ragazza di allora, che all'epoca era incinta e che probabilmente mi avrebbe visto un'ultima volta. Non c'era un defibrillatore sul campo in quel momento, ma il nostro fisioterapista stava tenendo dei corsi di primo soccorso in Inghilterra, e facendo la rianimazione bocca a bocca mi ha riportato in vita. Arrivata l'ambulanza i medici mi misero una maschera di ossigeno in primis e grazie ad altre cose le mie condizioni si stabilizzarono. La botta mi provocò un arresto cardiaco e rimasi in coma per più di due ore.
Ho seguito la partita della Danimarca negli studi di ZDF e dal primo momento, quella sera, ho cominciato a non sentirmi bene. Tutto bene quel che finisce bene: tra Eriksen e me, due dinamiche differenti ma… ho vissuto un déjà vu che non vorrei riprovare un’altra volta”.
Lutz Pfannenstiel pubblicò vita e miracoli nella sua autobiografia “Unhaltbar” (che sta per imparabile, insuperabile) nel 2009 raccontando vent’anni di carriera in circa 30 squadre e 6 continenti. Il sottoscritto lo accompagnò quando dovette firmare per il Guanzhou (Cina) nel febbraio del 1998.