Arriviamo a Pietroburgo in quella
stagione di luce continua, biancastra come le maglie della Spagna mentre le
nostre sì che sono in tema, un rosso da rivoluzione. Non è facile, gli altri
hanno scoperto e distrutto mondi nel nome della fede, noi siamo solo poveri
mercenari decaduti ma con lo stesso orgoglio del ticinese Trezzini che costruì
questa città mescolando pietre fango e gelo. Senza di lui non ci sarebbero i
demoni, i delitti e i castighi di Fedor e non ci sarebbe nemmeno questa sfida.
Senza Pietroburgo chissà come sarebbe andata avanti la storia?
A dirimere la questione un
inglese, che come tutti gli abitanti di quell’isola crede ancora nell’Impero.
Noi che siamo rappresentanti di una Repubblica abbiamo dunque davanti re zar
regine e via dicendo.
Ci azzoppiamo subito da soli: il
nostro compagno nero Embolo cade sulla linea di fondo e la sua avventura
finisce. Già avevamo dovuto lasciare fuori il Capitano Xhaka, e al suo posto il
vivandiere Zakaria ce la mette tutta ma ci tira in porta trasformando Sommer in
una statua invernale.
Gli spagnoli insistono a
chiuderci in un ridotto e davvero sembriamo una resistenza azteca, pressata
dalla storia ma precisa e pronta. Quando i conquistadores mostrano segni di
stanchezza o noia, noi cominciamo a uscire e pareggiamo le sorti con un colpo
dell’uomo-piroetta Shaqiri. Si sente profumo di vittoria ora, come quando si
scalda il minestrone e la casa si avvolge di piacere.
Qui, però, la nobiltà che si
riconosce dalla puzza usa il tallone di ferro. Il giudice isolano si erge oltre
i suoi compiti e scaccia dalla contesa il nostro alfiere Freuler con una
sentenza ignominiosa e irrimediabile. Per noi è come perdere un torrione e
ormai non ci resta che difenderci a oltranza, provando a far dibattere gli
spagnoli nella loro stessa ragnatela che tesserebbero anche da morti. Il tempo
si allunga a dismisura fino ai rigori, che non sono quelli della Neva d’inverno
ma solo i calci solitari e finali. Siamo pronti per ribaltare torti e sorti.
Poi ne sbagliamo tre e perdiamo.
Fine delle metafore, fine di tutto. Non ci resta che la quotidianità.