A complemento dell’analisi del professor Lungo su questo
stesso network in merito allo stress subito dagli atleti, vorrei aggiungere un
aspetto che secondo me è la radice del male. L’atleta non deve convivere solo
con sé stesso, con le sue ansie e le sue aspettative, ma è confrontato con la
pressione di tutto un mondo, che pensa sia il suo e che invece è solo come le
pulci del cane alla catena.
Parenti, procuratori, dirigenti, allenatori, dotti medici e
sapienti, compagni e compagne, psicologi, santoni a vario titolo, amici,
giornalisti, social media, sponsor, federazioni: sono le categorie, e ne
dimentico qualcuna, che stanno sopra, sotto, dentro e in giro all’atleta, lo
spronano spesso oltre i suoi limiti fino a trasformarsi, loro, in demoni
tentatori (forse gli stessi a cui allude la giovane Biles) nella speranza che
primeggi e che quindi “cacci il grano” come una mula da trasporto.
Le stesse Olimpiadi sono un mix di ipocrisia: niente
pubblicità ma professionismo spinto e legalizzato, non come quando non si
poteva e i militari sovietici vincevano tutto da dilettanti finti. Lasciamo
pure stare De Coubertin, che anche un qualsiasi ragazzo o ragazza può dire che
il professionismo è un bello schifo ed è perfino di pessimo esempio per i
dilettanti (capitolo a parte, le emulazioni).
L’indotto economico dello sport è il motore, il nutrimento,
di tutte le pulci elencate e al cane non rimane che mangiare dalla scodella,
grattarsi e dormire nella cuccia, senza abbaiare che poi i vicini reclamano.
C’è poi, come sempre e in tutte le fasi e le fasce, il
popolino che vive per interposta gloria, anch’esso sulle spalle degli atleti e
non per niente si chiama “tifoso”, come se fosse preda di una malattia. Il
popolino, che ormai è ovunque, spiega e scrive a gran voce che con quello che
guadagnano gli atleti non dovrebbero lamentarsi. Che cantino e che vincano.
Occhio però, il lamento non è per i loro guadagni, ma è quello che guadagnano
le pulci a creare il problema, quello che fa dire a Biles, a Dumoulin, a Osaka
e a decine di altri atleti, “ora basta, devo pensare alla mia salute, alla mia
vita”.
Il cane strappa finalmente la catena e si butta in acqua per
levarsi di dosso le pulci. O nuota o affoga, ma sempre meglio del prurito che lo
tiene sveglio anche la notte, con i suoi demoni.