LIBRI
L'eleganza del riccio
Un libro che parla di persone che si nascondono e vogliono essere scoperte
Pubblicato il 29.07.2021 07:25
di Angelo Lungo
“Non usare il tuo corpo per attirare attenzioni, troverai solo persone disposte ad usarlo. Ricopriti solo di aculei e toglili solo a chi ti vuole per quello che sei dentro non per il tuo corpo”.
La scrittrice francese Muriel Barbery, nel 2007, dà alle stampe il libro “L'eleganza del riccio”. Tempo di un istante, passaparola tra i lettori, risultato: un successo, inaspettato e travolgente.
Il titolo ammicca, incita alla curiosità: contiene un potenziale ossimoro, che poi sfata. Pone una domanda: com'è possibile che il riccio possa essere elegante?
La promessa è acclarata. L'aspettativa ha l'ambizione di essere colta.
La portinaia di un lussuoso condominio parigino è Renée. All'apparenza dozzinale, maldestra nei movimenti, si pone in guisa crassa e greve. In realtà è una persona coltissima: conosce il materialismo storico di Marx; studia la filosofia idealistica di Kant; legge Proust. Il suo fidato gatto si chiama Lev, in omaggio a Tolstoj. Ama l'arte, ascolta musica classica. Si costruisce abilmente una corazza: propone un'immagine esteriore che conferma lo stereotipo di un portinaio. Parla volutamente in maniera volgare e sgrammaticata. Nello stesso palazzo vive Paloma, una ragazzina dodicenne, figlia di un deputato. Arguta, intelligente, perspicace, osserva e critica le ipocrisie e i compromessi dei suoi familiari e del loro ambiente.
L'arrivo di un nuovo inquilino il giapponese Kakuro Ozo rompe questi fragili equilibri. Il suo sguardo è capace di guardare altrove. Raffinato e analitico, non tarda ad accorgersi delle qualità di Renée e Paloma.
“Fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti”.
Il libro parla di identità nascoste, celate poiché contrastano con lo spirito dominante e bigotto. La portinaia conduce una lotta di classe, persa sul piano lavorativo quanto vincente su quello intellettuale, solitaria, sotterranea. Provoca ma senza destabilizzare perché ha il timore di rivelarsi.
Lo scontro è tra l'interiore e l'esteriore, tra la forma e la sostanza.
L'apparenza che diventa una categoria da cui non si può sfuggire. La ferula di giudizi che dipendono da analisi superficiali. L'accidia di non ricercare l'umano: l'altro che vuole essere compreso. Il sé concentrato a proporre un'immagine dove prevale l'ego, poco importa la socialità, nessun interesse per il dialogo e l'ascolto.
Eppure Renée, Paloma e Kakuro, si trovano, si incontrano, si riconoscono, superando differenze generazionali e culturali, li spinge l'afflato di capovolgere il punto di osservazione. Ognuno dà, ognuno riceve, quello che sa, quello vuole: ecco la libertà di essere se stessi, capiti e accettati per come si è.
“Non vediamo mai al di là delle nostre certezze e, cosa ancora più grave, abbiamo rinunciato all'incontro, non facciamo che incontrare noi stessi in questi specchi perenni senza nemmeno riconoscerci”.