“Non usare il tuo
corpo per attirare attenzioni, troverai solo persone disposte ad usarlo.
Ricopriti solo di aculei e toglili solo a chi ti vuole per quello che sei
dentro non per il tuo corpo”.
La scrittrice
francese Muriel Barbery, nel 2007, dà alle stampe il libro “L'eleganza del
riccio”. Tempo di un istante, passaparola tra i lettori, risultato: un
successo, inaspettato e travolgente.
Il titolo ammicca,
incita alla curiosità: contiene un potenziale ossimoro, che poi sfata. Pone una
domanda: com'è possibile che il riccio possa essere elegante?
La promessa è
acclarata. L'aspettativa ha l'ambizione di essere colta.
La portinaia di un
lussuoso condominio parigino è Renée. All'apparenza dozzinale, maldestra nei
movimenti, si pone in guisa crassa e greve. In realtà è una persona coltissima:
conosce il materialismo storico di Marx; studia la filosofia idealistica di
Kant; legge Proust. Il suo fidato gatto si chiama Lev, in omaggio a Tolstoj.
Ama l'arte, ascolta musica classica. Si costruisce abilmente una corazza:
propone un'immagine esteriore che conferma lo stereotipo di un portinaio. Parla
volutamente in maniera volgare e sgrammaticata. Nello stesso palazzo vive
Paloma, una ragazzina dodicenne, figlia di un deputato. Arguta, intelligente,
perspicace, osserva e critica le ipocrisie e i compromessi dei suoi familiari e
del loro ambiente.
L'arrivo di un
nuovo inquilino il giapponese Kakuro Ozo rompe questi fragili equilibri. Il suo
sguardo è capace di guardare altrove. Raffinato e analitico, non tarda ad
accorgersi delle qualità di Renée e Paloma.
“Fuori è protetta
da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia
semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti,
risolutamente solitari e terribilmente eleganti”.
Il libro parla di
identità nascoste, celate poiché contrastano con lo spirito dominante e
bigotto. La portinaia conduce una lotta di classe, persa sul
piano lavorativo quanto vincente su quello intellettuale, solitaria,
sotterranea. Provoca ma senza destabilizzare perché ha il timore di rivelarsi.
Lo scontro è tra
l'interiore e l'esteriore, tra la forma e la sostanza.
L'apparenza che
diventa una categoria da cui non si può sfuggire. La ferula di giudizi che
dipendono da analisi superficiali. L'accidia di non ricercare l'umano: l'altro
che vuole essere compreso. Il sé
concentrato a proporre un'immagine dove prevale l'ego, poco importa la
socialità, nessun interesse per il dialogo e l'ascolto.
Eppure Renée,
Paloma e Kakuro, si trovano, si incontrano, si riconoscono, superando
differenze generazionali e culturali, li spinge l'afflato di capovolgere il
punto di osservazione. Ognuno dà, ognuno riceve, quello che sa, quello vuole:
ecco la libertà di essere se stessi, capiti e accettati per come si è.
“Non vediamo mai al
di là delle nostre certezze e, cosa ancora più grave, abbiamo rinunciato
all'incontro, non facciamo che incontrare noi stessi in questi specchi perenni
senza nemmeno riconoscerci”.