Lo
spirito del tempo conosce una sola andatura: la velocità. Tutto si consuma in
maniera celere. Si insegue la novità giornaliera. Nessuna tregua: bisogna
andare avanti. Le Olimpiadi giapponesi sono state le più discusse della storia e
si sono concluse. Le perplessità iniziali si sono dissipate. Autentici
protagonisti sono stati gli atleti. Tensioni, emozioni si sono susseguite in un
vortice continuo. Si sono scoperti personaggi. Si sono raccontate storie. La
manifestazione è stata un'esaltazione dello sport, di chi si allena in silenzio
e tra mille difficoltà. Ci sono sportivi che praticano discipline che hanno un
proscenio che li propone alla ribalta solo saltuariamente. Sono raccontati solo
in rare occasioni. Devono sopperire alla mancanza di strutture e si devono
allenare ingegnandosi. Esaltano appassionati, fanno scoprire il senso di
identità: perché innalzano il vessillifero che rappresenta i colori di un
paese. Ecco l'orgoglio nazionale.
Ma
tutto scorre, non ci si può fermare, chi si ferma non è attento. Giornali,
social hanno spostato velocemente il loro sguardo. Cambio celere di scena. Et
voilà, il protagonista, apparentemente defilato, si riprende la scena: il
calcio. Il keniota Eliud Kipchoge, di anni 36, è il più forte maratona di
sempre. Detentore del record mondiale sulla distanza con il tempo di 2h01’39”,
a Tokyo ha vinto il suo secondo oro olimpico. Ma ha scelto male il giorno per compiere
la sua impresa.
L’attenzione
si è spostata sulle lacrime del giocatore di calcio più forte del pianeta. Il
personaggio per grandezza e statura non si discute. È un simbolo per stile e
comportamento. La sua tecnica è sublime. Ma lo psicodramma che si è consumato
in salsa catalana, pone in evidenza una questione essenziale: il calcio si è
avvitato su se stesso. La partenza dell'argentino dalla Spagna ha una matrice precisa:
economica. Cifre folli, contratti milionari, bonus alle famiglie, commissioni
ai procuratori. Uno spettacolo avvilente. Le lacrime oscurano una mera
questione finanziaria.
Il
pallone si sgonfierà? Difficile, troppo popolare, di Olimpiadi si parla ogni
quattro anni, di calcio ogni ora.