CINEMA
Sergio Leone, quando il cinema è mito
La vita è come una strada senza ritorno
Pubblicato il 07.01.2021 10:11
di Angelo Lungo
Sergio Leone nacque a Roma il 3 gennaio del 1929, la sua carriera di regista non è prolifica, diresse complessivamente sette film. Preciso, meticoloso, curava ogni dettaglio.
“Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito”.
Il cinema del cineasta romano è un racconto. Una narrazione di un cambiamento storico, la vita che muta continuamente, trasforma gli ambienti sociali, trasforma gli uomini, una strada dove non è possibile tornare indietro. Prende un genere il western è lo reinterpreta, rendendolo realistico. Le facce degli attori sono sporche, cattive, parlano con gli sguardi e con gli occhi. Era un visionario, e le sue trame non erano scontate, e il colpo di scena era immancabile.
“Robert De Niro si butta nel film e nel ruolo assumendo la personalità del personaggio con la stessa naturalezza con cui uno potrebbe infilare un cappotto, mentre Clint Eastwood indossa un’armatura e abbassa la visiera con uno scatto rugginoso. Bobby, prima di tutto, è un attore, Clint, prima di tutto, è un divo. Bobby soffre, Clint sbadiglia”.
Sosteneva che gli attori erano come dei bambini, da viziare, a tratti adorabili, all’occasione da fustigare, da adulare e pure da sgridare. Esseri speciali quasi non umani, eppure delle straordinarie maschere, capaci di rappresentare il genere umano nella sua complessità: i buoni, i brutti e i cattivi.
“Immagina: la telecamera mostra un uomo armato dalla vita in giù che tira fuori la pistola e spara un bambino che corre. La telecamera si avvicina al volto del sicario e questo è… Henry Fonda”.
“C’era una volta il West” è un film epico che racconta la fine di un’epoca, un mondo senza regole, fu sostituito dalla modernità, che si fondava sull’arrivo della ferrovia e del commercio. Il cattivo era Henry Fonda. L’uomo dagli occhi azzurri e con un viso quasi angelico, il buono per antonomasia di Hollywood, trasformato in uno spietato sicario, con un volto cinico e crudele. Ecco la sua cifra stilistica, ecco la ricerca di una sorpresa autentica per spiazzare lo spettatore, ecco il realismo di non fermarsi all’apparenza.
Infine, il binomio con Ennio Morricone, la sua musica gli era indispensabile, laddove i dialoghi potevano essere anche un dettaglio, era la musica a esaltare l’azione, le emozioni e i sentimenti. Il brano “Il tema di Deborah” in “C’era una volta in America” è straordinario, suadente, delicato e struggente: un capolavoro.